Il Tre racconta “Anima Nera”: “Non è così triste essere tristi”
Tra i punti di riferimento musicali della Gen Z è impossibile non nominare Il Tre, che abbiamo incontrato in Warner a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo disco “Anima Nera”
Il Tre racconta “Anima Nera”: “Non è così triste essere tristi”
Tra i punti di riferimento musicali della Gen Z è impossibile non nominare Il Tre, che abbiamo incontrato in Warner a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo disco “Anima Nera”
Il Tre racconta “Anima Nera”: “Non è così triste essere tristi”
Tra i punti di riferimento musicali della Gen Z è impossibile non nominare Il Tre, che abbiamo incontrato in Warner a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo disco “Anima Nera”
Tra i punti di riferimento musicali della Gen Z è impossibile non nominare Il Tre che, nonostante la giovane età, ha già collezionato successi, milioni di stream e dieci anni di carriera. Il 7 novembre segna l’inizio di un nuovo capitolo con “Anima nera”. Undici canzoni che tracciano un viaggio introspettivo e personale, tra dolcezza e ruggine, chitarre e beat, dove l’artista si mette a nudo attraversando paure, contraddizioni e fragilità fino ad arrivare alla consapevolezza di chi ha imparato ad accettare le proprie ombre per ritrovare la luce. Musicalmente è il disco meno rap della sua produzione, per scelta consapevole.
Lo abbiamo incontrato a Milano per conoscere meglio questo nuovo disco, in una sede Warner tutta tematizzata Texas. Impossibile non partire da lì
Come mai questo taglio americano?
Abbiamo deciso di girare tutti i contenuti dell’album in Texas. Siamo partiti per Austin, abbiamo fatto i videoclip e tutto il resto. C’è un motivo dietro a questa scelta: il precedente album era ambientato in Islanda, perché aveva un’atmosfera più desolata, più fredda anche a livello concettuale.
Questo nuovo disco invece è, per certi versi, più “solare”. Anche se resta malinconico, perché a me la musica triste piace e non lo nascondo. Però è più luminoso, più aperto.

Nella prima canzone dici: “Non è Sanremo a dirmi le cose che merito”. Ti senti quindi libero dal bisogno di approvazione e dai numeri del mercato?
Per me Sanremo è stata un’esperienza bellissima, che ricordo con gioia.
Ma quella frase significa che non è la classifica di Sanremo – né i giudizi della settimana – a definire chi sono. In quei giorni ci sono tantissimi occhi e bocche che parlano, e molti giudicano la tua carriera da quei tre minuti di canzone. Ma io so che faccio musica da dieci anni, e se sono arrivato lì un motivo c’è.
A dirmi che sto facendo la cosa giusta sono le persone che mi scrivono, che vengono ai concerti, che mi raccontano di essersi sentite capite o aiutate dalle mie canzoni. Quello è il vero riconoscimento.
In questo album ci sono pochi brani prettamente rap. Come ti rapporti oggi con questo genere?
Ci sono ancora sfumature rap, ma meno rispetto al passato. Ho sentito l’esigenza di evolvermi, di sperimentare. A me è sempre piaciuto cantare, quindi perché non farlo? Non lo vedo come un allontanamento, ma come una crescita. Venendo da mixtape e dischi molto rap, mi sono concesso il lusso di uscire dalla comfort zone. È un segno di evoluzione, non un tradimento delle origini.
Qual è la canzone che ti rappresenta di più in questo disco? E quella che ti ha fatto più soffrire?
La più rappresentativa è “Anima nera”, la title track. Racconta che anche nelle anime più pure può esserci una stanza scura e non è per forza un male. Quella più sofferta forse è “Francesca”, che ho scritto con la mia band. È nata in modo molto spontaneo, quasi caduta dal cielo. Mi rappresenta tanto proprio per la naturalezza con cui è nata.

Nelle tue canzoni torna spesso il mare. Che legame hai con lui?
È vero, ma in modo particolare: io non amo il mare estivo. Preferisco il mare d’inverno, quello desolato, freddo. Vado spesso a Ostia quando voglio riflettere o staccare. È un posto che mi aiuta a fare chiarezza. Quindi sì, è un legame strano ma forte.
Hai scritto: “Quando senti la paura, è il momento in cui vivi”. Che intendevi dire?
La mia paura più grande è quella di non avere più paura. Quando senti ansia, emozione, paura, significa che stai facendo qualcosa che conta davvero. Se non provassi più nulla, significherebbe che ho perso la fame, il desiderio. E poi temo la solitudine: ho sempre avuto intorno tanto affetto e temo di non trovarlo più. Sono le mie due paure più grandi.
“Io vengo dalle fogne, non dalle feste di Milano”. È una contrapposizione tra due mondi?
Sì, in un certo senso. Oggi c’è un “circolino” di artisti, gente che vive a Milano e si muove tra eventi e connessioni. Io invece sono sempre rimasto a Santa Maria delle Mole, nel mio mondo. La frase significa che vengo da lì, ma con orgoglio. Mi serve per restare ancorato a terra e sentire il calore di casa.
Nei tuoi testi emerge sempre grande rispetto verso le donne. È importante per te che questo messaggio passi?
Per me è la normalità. Sono cresciuto così: con rispetto, in primis per mia madre. Litighiamo, certo, ma sempre nei limiti. Non giudico gli altri, ma non appartengo a quel mondo in cui la figura femminile viene svalutata. “Francesca”, ad esempio, è un brano gioioso e sereno che chiude un periodo bellissimo della mia vita. Per me è normale proteggere e rispettare. Mi è capitato anche nella vita vera di difendere amiche in situazioni ingiuste. Purtroppo non tutti crescono con questa educazione, ma io sì e per questo mi viene naturale. Non potrei mai mancare di rispetto a una donna.
E credo sia giusto dirlo, anche se di solito non amo espormi: su certi temi non riesco a stare zitto.
Possiamo dire che con “Anima nera” mostri le tue paure e fragilità, ma anche una nuova consapevolezza?
Esatto. Il senso è proprio questo: non è così triste essere tristi. Io sono malinconico di natura, e va bene così. La malinconia mi aiuta a scrivere, a capire, a vivere. Non fingo: mi piace la musica triste e faccio musica triste. Questo sono io.
C’è molto lavoro interiore nelle tue canzoni, ma poco mondo esterno. Ti riconosci in questa osservazione? E cosa pensi dell’appello di Ghali, secondo cui un rapper dovrebbe parlare anche di temi sociali?
Rispetto tantissimo chi lo fa, come Ghali. Io però parlo solo di ciò che vivo in prima persona. Non è mancanza di empatia: è sincerità. Se un tema mi toccherà direttamente, lo affronterò. Ma finché non succede, racconto la mia vita e i miei rapporti, come ho sempre fatto.
di Federico Arduini
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- Tag: musica
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