Mario Draghi è un marziano
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Per la pochezza dell’attuale panorama politico italiano, dedito all’autoreferenzialità, Mario Draghi è un marziano. Un esempio di chiarezza e linearità che sembra non riguardare il nostro presente.
Mario Draghi è un marziano
Per la pochezza dell’attuale panorama politico italiano, dedito all’autoreferenzialità, Mario Draghi è un marziano. Un esempio di chiarezza e linearità che sembra non riguardare il nostro presente.
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Mario Draghi è un marziano
Per la pochezza dell’attuale panorama politico italiano, dedito all’autoreferenzialità, Mario Draghi è un marziano. Un esempio di chiarezza e linearità che sembra non riguardare il nostro presente.
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AUTORE: Fulvio Giuliani
Mario Draghi è un marziano. È sempre stato, resta e resterà un alieno, rispetto ai protagonisti di una politica autoreferenziale, chiusa, non di rado meschina e costantemente dagli orizzonti ristretti. Meschina si dimostrò e tanto nei giorni della caduta dell’esecutivo presieduto dall’ex N.1 della Bce, fatto fuori per pura antipatia personale, senza uno straccio di motivazione che avesse un senso. Per chi avesse avuto dei dubbi all’epoca, sarà bastato osservare una campagna elettorale imbarazzante nella sua noiosa e inconcludente ripetitività.
Solo che il marziano è tale anche perché non dimentica ed è abituato a parlare con una chiarezza del tutto ignota agli statisti della domenica. Ieri, il presidente del Consiglio è andato giù come un maglio sulle ipocrisie, gli sbandamenti e quelle che un tempo si sarebbero chiamate le “intelligenze con il nemico“. Mario Draghi che accusa glaciale chi “parla di nascosto con Mosca e propone di togliere le sanzioni“ e di “pupazzi prezzolati“ al servizio di potenze straniere è il non politico che rende l’ennesimo servizio al Paese. Un’operazione di verità e consapevolezza che se molti italiani non fossero in buona misura distratti, disinteressati o sotto sotto compiaciuti da certe vicinanze saprebbero cogliere per quello che è: un aut aut.
O si sta da questa parte, lungo il fronte euroatlantico che da quasi ottant’anni garantisce la nostra libertà e ricchezza o si sta dalla parte dei dittatori, di chi considera la libertà un fastidioso orpello e la democrazia una moda che si può cancellare con i plotoni di una (sgangherata) armata.
Accusare un partito dati alla mano – la Lega, nell’unico passaggio in cui Draghi ha fatto nomi e cognomi – di non tener fede alla parola data, in un Paese fedele ai principi della serietà e onorabilità costerebbe una richiesta di rettifica e di scuse immediate o porterebbe gli accusati ad andarsi a nascondere per la vergogna. Da noi semplicemente non accade nulla, si va avanti come se niente fosse e come se nulla fosse stato detto.
Se un altro leader, Giuseppe Conte, viene additato pur senza essere nominato di ipocrisia, per essersi “inorgoglito della controffensiva ucraina”, salvo aver fatto i balletti sull’invio delle armi a Kiev, il leader medesimo non dice una parola, almeno nelle ultime 12 ore. Aspetta che passi, consapevole che il marziano non sposterà voti, se non pochissimi.
In uno sconfortante panorama del genere, è logico e inevitabile che l’alieno se ne torni da dove è venuto, inseguito dall’invidia e dal disprezzo di chi è troppo piccolo per capire con chi abbia avuto a che fare.
di Fulvio Giuliani
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