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Vasco fa 70

I primi 70 anni di Vasco Rossi, artista tanto amato quanto odiato, troppo spesso sottovalutato. Il suo contributo all’evoluzione del rock nostrano è stato fondamentale.
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Vasco fa 70

I primi 70 anni di Vasco Rossi, artista tanto amato quanto odiato, troppo spesso sottovalutato. Il suo contributo all’evoluzione del rock nostrano è stato fondamentale.
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I primi 70 anni di Vasco Rossi, artista tanto amato quanto odiato, troppo spesso sottovalutato. Il suo contributo all’evoluzione del rock nostrano è stato fondamentale.
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I primi 70 anni di Vasco Rossi, artista tanto amato quanto odiato, troppo spesso sottovalutato. Il suo contributo all’evoluzione del rock nostrano è stato fondamentale.
Pochi artisti italiani sono amati e allo stesso tempo poco apprezzati quanto Vasco Rossi. Ma è dei grandi artisti esser divisivi, non piacere a tutti. Eppure, osservando quanto scritto e prodotto nei 45 anni di carriera – dal celebre ultimo posto al Festival di Sanremo del 1982 fino al clamoroso successo e record del Modena Park – alcuni potrebbero rimanere sorpresi nello scoprire quanto Rossi sia stato decisivo, quanto sia stato a tutti gli effetti uno spartiacque per la musica rock italiana. Sì, avete letto bene cultori del rock nostrani, troppo spesso miopi per i paraocchi che vi autopiazzate perché cultori di artisti internazionali oggettivamente inarrivabili ma non per questo unici in grado di lasciare il segno ed emozionare. Il punto di svolta fu senza dubbio un disco, ma non uno qualunque. L’album che è diventato un vero e proprio manifesto di diverse generazioni di fan che nei testi e nella musica di Vasco da lì in poi hanno ritrovato sé stesse, hanno ritrovato una voce: “Siamo solo noi”. Prima di quel 9 aprile del 1981 la musica rock italiana aveva vissuto dell’epoca d’oro del progressive – non a caso nato proprio nella culla bolognese – ma che stava già disegnando da qualche anno una parabola discendente in fatto di popolarità, e dei grandi Little Tony e Bobby Solo, artisti indiscutibili ma che, oggettivamente, sono sempre rimasti fedeli (anche troppo) a quel rock figlio di Elvis. Celentano è e sarà sempre materia a parte. Fu con Vasco, con quel disco, che il rock in Italia incontrò il pop: basso, chitarra e batteria a fare da architrave a testi che per la prima volta si sposavano con l’essenza della musica rock, abbandonando una scrittura che fino ad allora poteva essere annoverata come tradizionale, per uno stile energico, perfino rabbioso. E lo fu sotto ogni aspetto, figlio di un’epoca in cui la musica era vissuta a 360 gradi e i dischi registrati in presa diretta. Come nacque la title track è lo stesso Vasco ad averlo raccontato l’anno scorso in occasione dei 40 anni del brano: «Mi è venuta di getto in una notte in cui ero furioso con me stesso perché sul palco non era andata come volevo. Ero scivolato sulle spie, quelli davanti per fortuna non si sono accorti di nulla. Mi rialzai immediatamente e, nonostante sbucciature e bruciori, continuai a cantare come se niente fosse, lo spettacolo prima di tutto sempre. Ma io ero inferocito con me stesso e così quella notte mi sono sfogato scrivendo “Siamo solo noi”: una dichiarazione di indipendenza dalle regole imposte che non ci stavano più bene, a noi della nuova generazione». Una generazione che mai come allora si riconobbe nella musica di qualcuno, fino a diventare un’armata che ancora oggi è unitissima e ogni giorno accoglie nuovi fan. La grandezza del messaggio che Vasco condensò in quel brano, in quel disco e che poi seppe trasportare di album in album fu proprio la capacità di parlare con e come le persone a cui la sua musica era indirizzata. Non da altari, non dall’alto: a fianco. Ancora oggi che il ‘Komandante’ ha 70 anni e i suoi primi fan sono padri e madri di nuove schiere di ‘Vascolizzati’, i suoi concerti sono un’esperienza unica, una delle poche paragonabili veramente alle messe rock di Springsteen e Co. Provare per credere, quando sarà di nuovo possibile.   di Federico Arduini

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