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Quella cultura liberal che liberò il rock

Il fruttuoso incontro tra Mike Oldfield e Richard Branson portò alla creazione della mitica Virgin Records.
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Quella cultura liberal che liberò il rock

Il fruttuoso incontro tra Mike Oldfield e Richard Branson portò alla creazione della mitica Virgin Records.
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Quella cultura liberal che liberò il rock

Il fruttuoso incontro tra Mike Oldfield e Richard Branson portò alla creazione della mitica Virgin Records.
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Il fruttuoso incontro tra Mike Oldfield e Richard Branson portò alla creazione della mitica Virgin Records.
Inghilterra, sometimes benedetta Inghilterra. Terra di poeti, artisti, navigatori e (pochi) santi. In pratica, come l’Italia. Ma con un Dna consacrato alla sburocratizzazione e all’autodeterminazione fiscale che in tempi remoti (e non solo) le ha consentito di avere una marcia in più nel lanciare progetti, assumersi rischi, osare nel tempestoso mare degli affari. Terra di Bentham, del liberalismo classico, dell’utilitarismo dell’atto e della regola. E in questa cornice culturale si inserisce una piccola e importante storia, quella del capolavoro rock strumentale “Tubular Bells” di Mike Oldfield e del suo fortunato incontro con l’imprenditore Richard Branson. Mike Oldfield, all’epoca, è un ragazzino ma anche un ottimo chitarrista. Ha il folk inglese nel sangue di cui ha studiato i vecchi fiddles, pratico di chitarra, banjola, mandolino e dulcimer. Adora il suono delle cornamuse ma se la cava anche con pianoforte e tastiere. Non ha ancora vent’anni quando registra su un vecchio registratore a due piste modificato una serie di sovraincisioni di brevi riff e contrappunti melodici dal sapore celtico. Ne ricava una lunghissima suite dal titolo provvisorio (e piuttosto scontato) di “Opus One”. Non sono previste parti cantate e la cosa in quell’inizio anni Settanta è ancora (ma per poco) spiazzante. La ricerca di un produttore e di un distributore è infruttuosa. Niente da fare. Quella registrazione rudimentale, per quanto ben scritta e ben suonata, non suscita interesse alcuno. Richard Branson, all’epoca, ha solo 23 anni, soffre di dislessia e quando si imbatte nella demo di Oldfield prende una decisione: fonderà un’etichetta discografica e una società di distribuzione. Solo per dare vita a quel progetto in cui crede tantissimo. Non ha molto denaro a disposizione ma la legge inglese gli consente, in una sola giornata, di avviare e perfezionare (definire) le pratiche di costituzione societaria. Bastano poche sterline, il notaio non serve e per il logo è sufficiente uno scarabocchio veloce sopra un foglio. Solo poche ore e la Virgin diventa un fatto concreto. L’alchimia è perfetta. Virgin come vergine, due neofiti di 20 e 23 anni. Un disco, “Tubular Bells”, un’epica sinfonia in cui Mike Oldfield suona quasi tutti gli strumenti, che venderà tra il 1973 e il 1974 otto milioni di copie in tutto il mondo, quasi tre milioni nella sola Inghilterra (247 settimane in classifica). Ci mette lo zampino pure il diavolo o meglio “L’esorcista”. Il famoso e terrificante film di William Friedkin utilizza l’intro pianistica della suite di Oldfield come colonna sonora e il resto è storia. E Richard Branson? Diciamo che il suo patrimonio personale è stimato in quattro miliardi e mezzo di dollari e che la Virgin accorpa oggi circa 400 società. Nel 2013 Richard Branson, commentando i progetti della Virgin Galactic – una compagnia creata per realizzare un’offerta di voli spaziali suborbitali per il mercato commerciale – ha detto: «Non avrei mai pensato che la parola tubular bells avrebbe avuto un ruolo così importante nelle nostre vite. La Virgin sta per andare nello spazio…». Inghilterra, sometimes benedetta Inghilterra. di Mc Graffio

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