“L’allenatore da salotto” che dimentica lo sport
Si fa un gran parlare di sport (e del business che gli ruota attorno) ma chi sono gli italiani che lo praticano davvero? Per l’Istat, meno di un italiano su quattro. E la scuola, prova a fare del suo meglio per non allevare “allenatori da salotto”.
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“L’allenatore da salotto” che dimentica lo sport
Si fa un gran parlare di sport (e del business che gli ruota attorno) ma chi sono gli italiani che lo praticano davvero? Per l’Istat, meno di un italiano su quattro. E la scuola, prova a fare del suo meglio per non allevare “allenatori da salotto”.
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“L’allenatore da salotto” che dimentica lo sport
Si fa un gran parlare di sport (e del business che gli ruota attorno) ma chi sono gli italiani che lo praticano davvero? Per l’Istat, meno di un italiano su quattro. E la scuola, prova a fare del suo meglio per non allevare “allenatori da salotto”.
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Si fa un gran parlare di sport (e del business che gli ruota attorno) ma chi sono gli italiani che lo praticano davvero? Per l’Istat, meno di un italiano su quattro. E la scuola, prova a fare del suo meglio per non allevare “allenatori da salotto”.
Divano, birra e patatine: scena tipica da “partita a casa di amici” del sabato. Mani tra i capelli e consigli urlati a gran voce a coach e allenatori su “io avrei fatto questo, perché hai fatto quello”. Diciamocelo: impossibile resistere al fascino dell’allenatore da salotto.
Se il calcio la fa da padrone, lo sport in genere è una costante della nostra quotidianità, che piaccia un pallone bianco su un prato verde o quattro ruote che sfrecciano sull’asfalto. Di questi tempi, poi, se ne fa un gran parlare: bene, con la vittoria di ‘Pecco’ Bagnaia al MotoGP o male, con lo scandalo senza fine che riguarda la ginnastica ritmica italiana.
Ma in tutto questo gran parlare, chi pratica davvero sport? Secondo l’Istat, pochi. Meno di un italiano su 4 lo pratica con continuità, il 40% lo fa in modo saltuario e il 33% non svolge alcuna attività sportiva. Insomma, bello da vedere, meno da attuare. La spettacolazione insita in ogni tipo di disciplina sportiva non è di per sé un danno. Una delle sue caratteristiche peculiari risiede da sempre nel fatto di accoppiare rigore e salute a competizione e fede sportiva, unendo gli individui in gruppi con il relativo senso di appartenenza e creando hype emotivo. Ma lo sport è soprattutto salute e pensarlo come ad uno spettacolo teatrale, ad esempio, ben distante dalla nostra zona di comfort, è un ossimoro bello e buono.
Un cambio di paradigma che si rivela urgente già nell’infanzia. In risposta a questo una buona notizia c’è. La Corte dei conti ha dato l’ok ai fondi del PNRR per lo sport e le relative infrastrutture nelle scuole per un totale di 300 milioni di euro. Il 70% verrà destinato alle scuole primarie e il 30% per le secondarie, con una plus dei finanziamenti (54,29%) verso le scuole del Mezzogiorno.
Una bella notizia se non fosse che, esattamente come il bonus psicologo, la stessa Corte abbia già sottolineato che su 2859 domande presentate (per un valore complessivo di quasi 3 miliardi di euro) solo una minima parte potrà essere soddisfatta con le risorse messe a disposizione. Ciò significa che ci vorrà ancora molto tempo per vedere i nostri figli praticare educazione fisica con attrezzature congrue, in ambienti adatti e in massima sicurezza. Fino a quel momento, l’ora dedicata all’educazione fisica verrà spesso confusa come “ora di ricreazione” o di gioco tra amici, la versione estremizzata e ludica di un’attività motoria intesa come palestra di vita quale dovrebbe essere.
Tra le novità della scuola di quest’anno, nell’ambito della Manovra2022, c’è l’insegnante di scienze motorie in quinta elementare. Poi, fra un anno, anche in quarta. Si è passati così dal tutor, pagato e formato da un soggetto esterno (perlopiù dal Coni) e fuori dal collegio dei docenti a un insegnante vero e proprio che parteciperà alla “valutazione periodica” dello studente e che “fa parte a pieno titolo del team docente”.
Noi comuni pigri e peccatori, cosa possiamo fare noi nel frattempo?
Alzarci dal divano abbandonando l’auto-proclamazione di “allenatori da salotto” è già un ottimo passo, magari provando a metterci in gioco facendo onore a quello che lo sport prova a spiegarci da tempo: che stare bene, divertendosi, è possibile e necessario.
di Raffaela Mercurio
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