L’addio di Letizia Moratti alla Lega spacca (anche) la sinistra
L’addio di Letizia Moratti alla Lega non ha spaccato solo il centrodestra, ma ha divaricato in modo netto anche il centrosinistra inteso come Pd e dintorni. Pd che, ovunque si piazzi, trova chi lo vuole cannibalizzare, considerandolo una preda e mai un interlocutore
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L’addio di Letizia Moratti alla Lega spacca (anche) la sinistra
L’addio di Letizia Moratti alla Lega non ha spaccato solo il centrodestra, ma ha divaricato in modo netto anche il centrosinistra inteso come Pd e dintorni. Pd che, ovunque si piazzi, trova chi lo vuole cannibalizzare, considerandolo una preda e mai un interlocutore
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L’addio di Letizia Moratti alla Lega spacca (anche) la sinistra
L’addio di Letizia Moratti alla Lega non ha spaccato solo il centrodestra, ma ha divaricato in modo netto anche il centrosinistra inteso come Pd e dintorni. Pd che, ovunque si piazzi, trova chi lo vuole cannibalizzare, considerandolo una preda e mai un interlocutore
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L’addio di Letizia Moratti alla Lega non ha spaccato solo il centrodestra, ma ha divaricato in modo netto anche il centrosinistra inteso come Pd e dintorni. Pd che, ovunque si piazzi, trova chi lo vuole cannibalizzare, considerandolo una preda e mai un interlocutore
Letizia Brichetto Moratti è una delle donne più ricche d’Italia. È stata ministro, sindaco di Milano e presidente della Rai, ogni volta al riparo dell’ombrello del centrodestra di rito berlusconiano (nonché diniano: le personalità della società civile hanno sempre bisogno della cipria tecnica, rende più interessanti). È una donna che ha tutto per non piacere alla sinistra, sentimento cordialmente ricambiato.
Dopo aver rinverdito il suo curriculum con la vicepresidenza della Regione Lombardia con maggioranza di centrodestra o destra-centro (in fondo che importa?), ha rotto con il presidente leghista Fontana trovando immediatamente braccia aperte e strada spianata alla candidatura di Palazzo Lombardia nel terzo polo del duo Carlo Calenda e – vade retro – Matteo Renzi, nome che a pronunciarlo al Nazareno si ottiene lo stesso effetto che Frau Blucher produceva nel castello di Frankenstein junior. Una spaccatura che non solo indebolisce la ricandidatura del governatore uscente ma soprattutto provoca una faglia in tutto il coté, salotti compresi, dove navigano i voti degli anti-sinistra. In sostanza è il cuore pulsante del potere leghista. Colpirlo potrebbe provocare il collasso politico dell’ex Capitano ora tornato sostenitore a tutto spiano dei porti chiusi.
Domanda: che deve fare il Pd? Nella prima Repubblica i partiti erano soliti accogliere a braccia aperte i fuggitivi del campo avverso e giocarli contro i loro “danti causa”. Anche a costo di sorvolare sui precedenti del figliol prodigo, in particolare se risultavano imbarazzanti. Ma siccome nella fase attuale tutto si confonde e tutto s’intorbida, l’addio della Moratti se per un verso ha spaccato il centrodestra per l’altro ha divaricato in modo netto anche il centrosinistra inteso come Pd e dintorni (i nuovi progressisti del M5S in Lombardia hanno radici trascurabili). Un pezzo dei Democratici – vedi Luigi Zanda, vicinissimo a Franceschini – capisce che è la ghiotta occasione per scardinare il fortino leghista e insediarsi là dove volano le aquile del potere economico-finanziario.
Un altro pezzo considera invece Moratti il peggio che possa capitargli e giura che mai e poi mai il popolo di sinistra potrebbe votare una signora così stilisticamente e strutturalmente lontana. Con annessa questione etico-morale, secondo cui è impossibile sostenere chi abbia così disinvoltamente piroettato. Dimenticando che Lamberto Dini era ministro dell’odiatissimo Berlusconi e poi andò a Palazzo Chigi con l’avallo dell’allora Pds e fu titolare della Farnesina nel governo Prodi. Oppure, più recentemente, che Giuseppe Conte è rimasto presidente del Consiglio grazie a un volteggio senza pari sotto l’usbergo del Pd medesimo dopo aver governato con Salvini. Poi ci sarebbe anche Beatrice Lorenzin e prima e dopo di lei l’intramontabile Clemente Mastella. Tutti a un tempo nemici, poi amici, di nuovo nemici e poi infine alleati, di lungo o corto periodo non importa.
Ok, lasciamo perdere. Il punto vero è che il Pd sembra sempre più incapace di fare politica, anche approfittando degli errori e delle divaricazioni altrui. Forse è perché non era storicamente abituato ad avere una concorrenza a sinistra dove al massimo c’erano cespugli poco fastidiosi salvo qualche votazione in Parlamento (remember Turigliatto?), mentre ora gli ultimi sondaggi gli assegnano lo strapuntino di junior partner del corsaro Giuseppe. Oppure di terreno di scorribanda dei corsari liberal-centristi. Insomma, ovunque si piazza il Pd trova chi lo vuole cannibalizzare, considerandolo una preda e non un interlocutore. Brutta storia.
Di Carlo Fusi
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