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L’Atene del terzo millennio

Storia della Silicon Valley, dove dagli anni 50 si sono intrecciati i vissuti di uomini che hanno cambiato la storia. In fatto di business ma anche di cultura. Così non sorprende che il garage di Steve Jobs sia diventato meta di pellegrinaggio
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L’Atene del terzo millennio

Storia della Silicon Valley, dove dagli anni 50 si sono intrecciati i vissuti di uomini che hanno cambiato la storia. In fatto di business ma anche di cultura. Così non sorprende che il garage di Steve Jobs sia diventato meta di pellegrinaggio
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L’Atene del terzo millennio

Storia della Silicon Valley, dove dagli anni 50 si sono intrecciati i vissuti di uomini che hanno cambiato la storia. In fatto di business ma anche di cultura. Così non sorprende che il garage di Steve Jobs sia diventato meta di pellegrinaggio
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Storia della Silicon Valley, dove dagli anni 50 si sono intrecciati i vissuti di uomini che hanno cambiato la storia. In fatto di business ma anche di cultura. Così non sorprende che il garage di Steve Jobs sia diventato meta di pellegrinaggio
Il luogo dove il mondo così come lo conosciamo e percepiamo viene reinventato ogni giorno è un’area di una manciata di chilometri quadrati, nella zona meridionale della Bay Area, il ‘circondario’ verde di San Francisco. La città per certi aspetti meno americana d’America e al contempo polmone culturale fra i più importanti del Paese e da sempre capitale ‘liberal’ degli Usa. Tutti elementi che non fanno solo colore e sfondo alla Silicon Valley, ma ne sono costitutivi. Ci arriveremo. Molti pensano che il fenomeno della Valley sia relativamente recente, segnato dall’esplosione delle Big Tech. In realtà, l’origine ‘business’ della zona risale alla fine degli anni Cinquanta, quando sorsero come funghi aziende impegnate nella nascente industria dei circuiti integrati in silicio. Da qui ‘Silicon Valley’, termine coniato da un giornalista solo nel 1972. L’humus del futuro prossimo venturo era pronto, alimentato dai cospicui interessi della Difesa nello sviluppo dei calcolatori elettronici, progenitori dei computer e dell’era di Internet, a sua volta pensato per scopi squisitamente militari. È a questo punto, però, che si innesta l’atmosfera culturale di San Francisco. L’ondata della beat generation, il movimento hippy che in città raggiunse il culmine, la semina della Summer of Love del 1967 si miscelarono con la tradizionale e istintiva predisposizione all’innovazione e agli affari degli americani. Aggiungeteci lo straordinario catalizzatore dell’Università di Stanford, con l’incubatore creato negli anni Cinquanta nello Stanford Research Park, l’Università di Berkeley – en passant uno dei cuori del movimento giovanile statunitense di fine Sixties – e avrete le condizioni ideali di crescita, sviluppo e affermazione di cervelli fuori dal comune. Allevati oltre il seminato della formazione accademica classica, menti disposte a considerare normale e inevitabile la creazione di un mondo nuovo. E nel mentre fare un mucchio di quattrini. La mitologia dei garage della Silicon Valley è certamente abusata e ormai stucchevole, ma è storia vera. Come gran parte dei turisti che si trovano a passare in zona, anche chi scrive si è recato in pellegrinaggio al garage in cui Steve Jobs e Steve Wozniak lavorarono all’idea dell’Apple I. Il garage è ancora lì e l’attuale proprietaria, una signora austera ma dall’aria simpatica, si è limitata a piazzare un cartello sul marciapiede pregando i curiosi di fare le foto senza calpestarle il prato. Siamo a cinque minuti di macchina da Cupertino, storica sede della Apple, dove l’azienda fondata da Jobs oggi ha costruito un’astronave. La chiamano così e proprio questo sembra la fantasmagorica sede dell’azienda più capitalizzata al mondo. Per gusto personale, ho scelto l’amena (e insignificante per altri versi) Cupertino come ideale centro di quell’incredibile agglomerato di aziende tech che è la Silicon Valley. Entro un quarto d’ora in auto, troverete Mountain View (Google), Menlo Park (Facebook), la già citata Stanford. Solo per limitarci ai luoghi divenuti familiari. Se volessimo divertirci a stilare una lista, nell’area a sud di San Francisco sono nate e hanno le loro sedi, fra le altre, Adobe, eBay, Cisco, Electronic Arts, Hewlett Packard (già nel 1939 a Palo Alto, come si diceva le origini sono antiche e tutt’altro che casuali), Linkedin, Intel, Netflix, PayPal. Oltre Apple, Google, Facebook e la stessa Tesla, prima di trasferire l’headquarter in Texas. È l’Atene dell’ultimissimo scorcio del secondo millennio e dell’alba del terzo. Non inorridite al parallelo o almeno concedetevi del tempo per riflettere prima di farlo: ciclicamente, un luogo baciato da condizioni del tutto eccezionali funge da faro e aggregatore. Sono sempre le persone a fare la differenza, ma le circostanze e le opportunità contano eccome e quelle offerte dalla Silicon Valley negli ultimi sessant’anni hanno pochi eguali nella storia. Stiamo parlando soprattutto di business, ma senza determinati presupposti culturali non sarebbe esistita alcuna Silicon Valley. Perché non sarebbero potute esistere le menti della Silicon Valley. È la più grande lezione e vale più di tutti i microprocessori, computer e smartphone ideati in quel lembo di terra americana: è il libero confronto di idee e soluzioni a rendere ricche le persone e i Paesi. Prima nella testa e subito dopo nel portafoglio.   di Marco Sallustro

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