Crisi bancarie a scuola di Titanic
| Economia
L’esperienza recente indica che quando una nave bancaria urta un iceberg le regole previste per gestire l’emergenza saltano. E si rischia di affondare

Crisi bancarie a scuola di Titanic
L’esperienza recente indica che quando una nave bancaria urta un iceberg le regole previste per gestire l’emergenza saltano. E si rischia di affondare
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Crisi bancarie a scuola di Titanic
L’esperienza recente indica che quando una nave bancaria urta un iceberg le regole previste per gestire l’emergenza saltano. E si rischia di affondare
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Quando nell’aprile del 1912 il Titanic, il transatlantico ritenuto inaffondabile, andò a sbattere in piena notte contro un iceberg a Est di Terranova, non morirono solamente 1.500 passeggeri ma anche l’idea stessa dell’esistenza di navi inaffondabili e la convinzione che gli armatori installino sempre una quantità sufficiente di scialuppe di salvataggio. Ovviamente, se i soccorsi fossero arrivati per tempo, il peggio avrebbe potuto essere evitato. Nella crisi bancaria in corso, la rapidità delle decisioni prese dalle autorità competenti nei due ultimi week-end – a mercati chiusi – ha probabilmente evitato un’immediata diffusione del contagio, ma è naturale che provvedimenti presi in fretta e furia risultino imperfetti e finiscano col creare ulteriori problemi.
Otto giorni fa, salvando i clienti della Silicon Valley Bank, il governo americano ha implicitamente violato i limiti della garanzia dei depositi prevista dalla legge, senza modificare la norma stessa. Biden ha rassicurato in tv gli americani («I vostri conti in banca sono sicuri»), evitando così un bank run esplosivo il lunedì successivo ma lasciando cittadini e investitori nell’incertezza giuridica. Nel successivo hearing al Senato, quando il senatore repubblicano dell’Oklahoma ha chiesto al ministro del Tesoro Yellen se i clienti delle banche rurali del suo Stato potranno contare sulle medesime garanzie offerte a quelli della SVB, il ministro ha risposto che la garanzia federale dei depositi resta limitata a 250mila dollari ma che il governo si riserva di agire senza limiti per evitare crisi sistemiche, il che ovviamente non dà certezze alle aziende agricole dell’Oklahoma. L’incertezza, per definizione, non è la madre della stabilità.
Nel successivo week-end è stato il turno delle autorità svizzere di agire per evitare il collasso del Credit Suisse (banca globale e non locale), forzando una fusione con UBS, la maggiore banca elvetica, e garantendo nel frattempo liquidità all’istituto assorbito per arrestare la fuga dei depositi. Dovendo concludere in poche ore una transazione miliardaria che normalmente richiederebbe mesi, gli svizzeri hanno agito per decreto (senza chiedere il consenso degli azionisti previsto dalla legge) e deciso di cancellare senza compenso 17 miliardi di obbligazioni AT1, pur offrendo agli azionisti del Credit Suisse 3 miliardi in azioni UBS.
La logica della struttura del capitale delle banche dovrebbe essere diversa, dato che le obbligazioni bancarie condizionalmente convertibili sono uno strumento pensato per offrire un rinforzo automatico di capitale in caso di crisi, non come titoli più rischiosi delle azioni. I (pochi) miliardi offerti agli azionisti sono stati paradossalmente giustificati con l’esigenza di non eliminare le partecipazioni dei dipendenti, che riceveranno anche un bonus nonostante il fallimento di fatto del loro istituto. Le autorità bancarie dell’Ue hanno esplicitamente criticato questa decisione, chiarendo che da noi non si procederebbe in maniera siffatta. Il motivo è semplice: dopo una decisione del genere nessun investitore ragionevole si esporrà al rischio di titoli simili e sarà dunque necessario rafforzare direttamente il capitale delle banche.
Insomma, l’esperienza recente indica che quando una nave bancaria urta un iceberg le regole previste per gestire l’emergenza saltano, mancano scialuppe e quelle disponibili non vengono utilizzate in maniera ordinata. Mancando ogni certezza giuridica sulla garanzia dei depositi, resta intatto l’incentivo per i grossi clienti a spostare gli averi nelle banche più grandi – che le autorità ritengono “sistemiche” – e le banche minori, non potendo competere con i concorrenti maggiori, finiranno assorbite da quelle più grandi, le quali a loro volta dipenderanno essenzialmente da garanzie statali.
Continuando su questa linea, assisteremo dunque a una statalizzazione di fatto del sistema bancario, in assenza di riforme serie, rapide ma ben pensate.
di Ottavio Lavaggi
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