Crisi bancarie
Crisi bancarie
Crisi bancarie
Jamie Dimon, ad di JPMorgan Chase, una delle maggiori banche globali, ha ragione: le origini della crisi bancaria in corso non sono da ricercare nella de-regolamentazione ma piuttosto nelle regole che le autorità hanno imposto negli anni successivi alla crisi del 2008.
Per evitare che le banche privilegiassero nuovamente strategie rischiose, i regolatori hanno reso particolarmente conveniente per queste l’acquisto e la detenzione di titoli di Stato, che essendo classificati come “a rischio zero” non comportano alcuna necessità di riserva frazionale e possono essere usati al 100%, indipendentemente dai prezzi di mercato, per ottenere ulteriori prestiti dalla banca centrale.
Nei lunghi anni di tassi di interesse reali negativi sui titoli di Stato, in effetti, questi ultimi hanno cessato di finire prevalentemente nei portafogli dei risparmiatori, per fermarsi essenzialmente in quelli delle banche centrali e degli istituti privati. E i periodici stress test imposti dai regolatori per assicurare la solidità del sistema non hanno sufficientemente contemplato scenari di forte e improvviso innalzamento dei tassi di interesse, cioè quel che sta avvenendo ora. L’omissione non è stata accidentale: gli Stati avevano bisogno di indebitarsi molto a costi minimi e hanno deliberatamente introdotto regole che non considerano rischioso l’indebitamento a lungo termine a tassi negativi, che è una strategia finanziariamente masochista per il creditore.
Chiarita l’origine del problema, la questione difficile è come risolverlo. Salvar le banche con soldi pubblici evita nell’immediato una crisi sistemica, ma se diventa una strategia aggrava lo squilibrio di fondo, che sta in un indebitamento pubblico eccessivo che diventa “caro” quando i tassi salgono. Abbassare i tassi per riequilibrare i conti delle banche comporterebbe oggi un grave rischio di spirale inflazionistica, con i salari che crescono per accompagnare prezzi che continuano a salire. Azionare la leva fiscale, per ridurre il deficit in una fase di significativa inflazione e tassi in crescita, sarebbe una ricetta per provocare recessione.
Il sistema bancario europeo appare oggi meno esposto di quello americano, ma ha una debolezza strutturale dovuta all’assenza di unione bancaria. Per l’Ue l’unica strategia ragionevole per evitare una crisi finanziaria appare dunque quella di un’accelerazione dell’integrazione, accompagnata da riforme strutturali tese a favorire una crescita non inflazionistica e ambientalmente sostenibile. Insomma, entrare nella “Next Generation Eu” più rapidamente invece che più lentamente del previsto.
Per l’Italia, che in termini relativi ha il maggior debito pubblico dell’Unione ed è dunque particolarmente esposta alle conseguenze del rialzo dei tassi, questa via è ancor più chiaramente una scelta obbligata.
di Ottavio Lavaggi
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