“Nazionalità” al posto di “razza” negli atti pubblici
Un parlamentare del PD ha presentato un emendamento al decreto legge riguardante la pubblica amministrazione che prevede la sostituzione del termine “razza” con “nazionalità”
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“Nazionalità” al posto di “razza” negli atti pubblici
Un parlamentare del PD ha presentato un emendamento al decreto legge riguardante la pubblica amministrazione che prevede la sostituzione del termine “razza” con “nazionalità”
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“Nazionalità” al posto di “razza” negli atti pubblici
Un parlamentare del PD ha presentato un emendamento al decreto legge riguardante la pubblica amministrazione che prevede la sostituzione del termine “razza” con “nazionalità”
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Un parlamentare del PD ha presentato un emendamento al decreto legge riguardante la pubblica amministrazione che prevede la sostituzione del termine “razza” con “nazionalità”
Sul termine “razza” s’è raggiunta una strana razza d’unanimità. Un parlamentare, del Partito democratico, ha presentato un emendamento al decreto legge riguardante la pubblica amministrazione (saluti alla prevista e dimenticata omogeneità) che prevede: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, negli atti e nei documenti delle pubbliche amministrazioni il termine “razza” è sostituito dal seguente: “nazionalità”». Votato da tutti. Commentato poi con sacrale rispetto. Per vocazione e sollazzo eretici, mi pare una sciocchezza.
Lasciamo perdere il caso in cui si debba prendere un quale che sia provvedimento pubblico a proposito delle mucche, talché si sarà costretti all’assurdo della “nazionalità chianina”, così come si dovranno promuovere i cani di razza pitbull ad autonoma nazionalità ove mai si voglia imporre loro la museruola, senza per questo – con insensata equanimità – obbligare a metterla anche a quelli di nazionalità chihuahua. Si troverà un rimedio. Veniamo al dunque: usare “razza” è da razzisti? Sicuramente no. Non è la parola che sporca il pensiero, è il pensiero sporco che deturpa la parola.
Articolo 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Dite che è razzista? È vero l’opposto: venendo dalla vergogna e dall’infamia delle leggi razziali, quel «senza distinzione (…) di razza» afferma la civiltà opposta. Toglieteci “razza”, metteteci “nazionalità” e non significa più nulla.
Appartiene all’elaborazione culturale largamente successiva a quel 1948 l’acquisizione che non esistono distinzioni biologiche di razza, ed è successiva a quel passaggio l’individuazione dell’uso di “razza” quale negazione di quell’uguaglianza. Ma è puro costume della parola. E quando si cominciano a cancellare le parole si prende una strada pericolosissima, che non porta affatto all’eliminazione del male. Ad esempio: se dico che voglio far entrare esclusivamente immigrati di religione cristiana e di nazionalità canadese, non ho tirato in ballo la “razza” ma ho espresso un concetto razzista e ho calpestato la Costituzione. Dall’altra parte: se vado a denunciare d’essere stato scippato (almeno per poi fare la copia dei documenti e bloccare le carte di credito) e mi chiedono di descrivere lo scippatore io non ho idea di quale sia la sua nazionalità, ma magari ho visto che era bianco o nero: non è razzista dirlo, è demente non metterlo a verbale.
Siccome le vittorie elettorali delle destre, in giro per l’Europa, hanno incuriosito sul pensiero di taluni supposti ispiratori della cultura di destra (che non credo c’entrino nulla con i successi elettorali), sarà bene fare attenzione al significato delle parole: nel nostro mondo siamo «tutti uguali davanti alla legge» e «la legge è uguale per tutti»; ciò non toglie si sia diversi l’uno dall’altro, sempre e comunque, talora in modo profondo; non toglie che usi e costumi diversissimi convivano dentro lo stesso alveo istituzionale, che poi è un riflesso di civiltà; non toglie che la pigmentazione vari, e non poco, anche in Europa, immigrati esclusi. Il nostro non è affatto il mondo del tutti uguali, ma il solo mondo in cui si ha diritto d’essere tutti diversi. Uguali sono, invece, i diritti e i doveri. Anche se i secondi tendono a essere dimenticati. E questo crediamo sia un ideale di civiltà e umanità.
Siccome si può essere di nazionalità israeliana e non essere ebrei, così come di nazionalità italiana e non essere bianchi, gli unanimi del vocabolario si convincano che restringere il numero delle parole utilizzabili serve soltanto a restringere la diversità dei pensieri pensabili. E benché loro non ci abbiano pensato, il razzista non è solo quello che se la prende con neri o ebrei, ma quello che pensa di cancellare dalla propria vita i ‘diversi’, dirazzando dalla civiltà.
di Davide Giacalone
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