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Alle origini della rivolta in Kazakistan

Il presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev ha richiesto l’intervento russo per sedare le proteste in tutto il Kazakistan. La vicenda ci ricorda come, anche dopo l’indipendenza, il nono Paese più grande al mondo sia rimasto strettamente legato a Mosca.
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Alle origini della rivolta in Kazakistan

Il presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev ha richiesto l’intervento russo per sedare le proteste in tutto il Kazakistan. La vicenda ci ricorda come, anche dopo l’indipendenza, il nono Paese più grande al mondo sia rimasto strettamente legato a Mosca.
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Alle origini della rivolta in Kazakistan

Il presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev ha richiesto l’intervento russo per sedare le proteste in tutto il Kazakistan. La vicenda ci ricorda come, anche dopo l’indipendenza, il nono Paese più grande al mondo sia rimasto strettamente legato a Mosca.
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Il presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev ha richiesto l’intervento russo per sedare le proteste in tutto il Kazakistan. La vicenda ci ricorda come, anche dopo l’indipendenza, il nono Paese più grande al mondo sia rimasto strettamente legato a Mosca.
Come “Ubu roi” fu ambientato in una Polonia che non c’era più da un secolo, anche Sacha Baron Cohen immaginò a patria del suo Borat un Kazakistan che in realtà esiste ma che nell’immaginario collettivo occidentale era lo stesso un non luogo. Se la Polonia poi tornò a esserci, i media ora si accorgono anche della effettiva consistenza di uno Stato dove la violenta rivolta accesa da un aumento dei prezzi del Gpl ha fatto decine di morti. Questa ‘assenza’ del Kazakistan dalla percezione collettiva è paradossale per un Paese che con i suoi 2,7 milioni di km² è il nono al mondo per dimensioni, ha la prima economia dell’Asia Centrale e ha ereditato il 60% delle risorse minerarie e il 20% delle terre coltivate della ex Unione Sovietica. Primo produttore mondiale di uranio e secondo produttore di petrolio della Csi, ha inoltre ferro, carbone, un terzo di tutto il frumento della ex Urss, frutta, ortaggi, tabacco, riso, canapa, cotone, pecore, mucche, cavalli e cammelli. Il fatto che ora il presidente Qasym-Jomart Toqaev abbia richiesto un intervento russo ci ricorda come pur dopo l’indipendenza il Kazakistan sia rimasto strettamente legato a Mosca, anche prima di aderire nel 2015 all’Unione economica eurasiatica.

Però siede anche nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai con Russia e Cina (di quest’ultima è il primo fornitore di uranio).

E questo malgrado da una parte i kazaki siano cugini stretti di quegli uighuri che la Cina reprime spietatamente e che dall’altro l’esercizio del potere russo sia stato lì durissimo, con repressioni e deportazioni che hanno generato continui scombussolamenti nel suo equilibrio etnico. Se nel 1926 i kazaki erano quasi il triplo dei russi, dal 1936 questi erano diventati la prima etnia. Ma poi dopo l’indipendenza hanno iniziato ad andarsene in massa e adesso il rapporto è del 63,1% di kazaki contro il 23,7% di russi.

Il Kazakistan è anche membro del Partenariato euro-atlantico e della Organizzazione della cooperazione islamica.

Vi ha interessi la stessa l’Italia, dall’Eni all’Unicredit. Forse questo suo ‘stare con tutti’ contribuisce alla percezione di inconsistenza di un Paese che è anche il più grande al mondo senza sbocco al mare: isolamento e vuoto demografico, con 20 milioni di abitanti che corrispondono ad appena 7 per km². Proprio il fatto che le distanze impongano un gran uso del trasporto su gomma e che il Gpl sia il carburante più diffuso ha portato alla sommossa quando le tariffe di quest’ultimo sono state alzate. Ma se quello era la miccia, l’obiettivo vero dell’esplosione è l’eterno Nursultan Nazarbaev. Già uomo forte del Kazakistan sovietico dal 1984, poi dal 1991 al 2019 presidente del Kazakistan indipendente e dal 1991 presidente del Consiglio di sicurezza del Kazakistan: dal 2018 a vita, prima di passare la presidenza formale a Qasym-Jomart Toqaev. La capitale Astana il 23 marzo 2019 fu ribattezzata Nur-Sultan in suo onore. Un personaggio che in qualche modo ha fermato la Storia in un modo che spiega la percezione di ‘assenza’ del Paese. Ma la Storia ora ha ripreso a camminare, e le sue statue cadono.   Di Maurizio Stefanini

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