Salario minimo
Salario minimo
Salario minimo
Carlo Calenda afferma “numeri alla mano” che un salario minimo di 9 euro all’ora è una proposta ragionevole in quanto corrisponderebbe a una remunerazione netta di 1.200 euro al mese per chi lavora a tempo pieno. Antonio Tajani ha definito questa posizione come «sovietica». Chi dei due ha ragione?
Norme sul salario minimo esistono oggi in Usa e nella maggioranza dei Paesi Ue, senza soverchi rischi di “socialismo reale”, ed è vero che far campare una famiglia con meno di 1.200 euro al mese è cosa ardua, con i tempi che corrono. A titolo d’informazione, oggi in Italia il salario medio di un operaio non specializzato è di circa 1.400 euro. Ma il problema centrale è un altro. Prezzi e salari fortunatamente non sono definiti per legge, ma dal mercato o da contratti di categoria. Lo Stato dovrebbe limitarsi a evitare abusi e a favorire lo sviluppo economico. Rendere illegali per legge remunerazioni inferiori ai 1.200 euro mensili, che al datore di lavoro costano quasi il doppio, avrebbe l’inevitabile effetto di ridurre l’occupazione legale in vaste zone del Paese e in settori marginali dell’economia, senza risolvere i problemi della maggioranza dei potenziali beneficiari della misura. Un’economia che cresce e innova genera ricchezza e remunerazioni più elevate. Un’economia che ristagna è segnata da continue “guerre fra poveri”.
In Italia il mercato del lavoro non è retto da norme che tutelano insufficientemente i dipendenti, ma al contrario da rigidità sistematiche e oneri accessori che scoraggiano l’occupazione e contribuiscono a mantenere bassi i salari netti. È questo il cuore del problema. Non è il salario minimo a essere un’idea “sovietica”, ma il tentativo di riportare ogni possibile prestazione lavorativa a un quadro di occupazione salariata a tempo pieno. Gli autisti di Uber e i delivery boy sono remunerati in maniera insufficiente? Forse sì, ma tentando di trasformarli tutti in dipendenti a tempo pieno e a salario fisso (probabilmente minimo) si otterrebbe il risultato di fare sparire queste nuove forme di lavoro.
Dato che oltre il 90% dei rapporti di lavoro sono già regolati da contratti di categoria, stabilire per legge una remunerazione minima delle forme meno regolate e più flessibili di occupazione può essere un valido strumento per evitare forme di sfruttamento, ma a condizione di lasciare grande libertà alle parti nella definizione di questi rapporti.
Abbiamo chiaramente bisogno di più Uber (dato che le corporazioni bloccano la liberalizzazione delle licenze di taxi), abbiamo bisogno di più badanti (dato l’invecchiamento della popolazione), abbiamo bisogno di più web-worker e di più creatori di nuovi servizi online. Non abbiamo certamente bisogno di nuove norme che distruggono occupazione e innovazione.
di Ottavio Lavaggi
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