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la guerra degli ostaggi

La guerra degli ostaggi

Cosa distingue il dramma di oggi in Israele da quello di Kippur cinquanta anni fa? In primis il nemico, la sua ferocia e la guerra degli ostaggi
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La guerra degli ostaggi

Cosa distingue il dramma di oggi in Israele da quello di Kippur cinquanta anni fa? In primis il nemico, la sua ferocia e la guerra degli ostaggi
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Cosa distingue il dramma di oggi in Israele da quello di Kippur cinquanta anni fa? In primis il nemico, la sua ferocia e la guerra degli ostaggi
La cattura di un numero ancora imprecisato di militari e civili da parte dei terroristi di Hamas – oltre un giorno dopo l’attacco a Israele – è l’elemento (terrificante) che distingue l’assalto di ieri allo Stato ebraico da qualsiasi precedente. Abbiamo dovuto assistere in un passato recente a scene raccapriccianti, a storie terribili seguite a sequestri di singoli soldati o civili finiti nelle mani di terroristi, nei lunghi mesi e anni seguiti all’11 settembre. Quello che è accaduto ieri, però, non si era mai visto. Portare il terrore in casa – letteralmente – dei cittadini dello Stato di Israele era considerato al di là delle possibilità del terrorismo palestinese. Le immagini di quei ragazzi portati via in auto o in motocicletta, picchiati selvaggiamente, il terrore nei loro occhi, la mancanza di qualsiasi pietà nei confronti persino di bambini, anziani e disabili getta via e per l’ennesima volta l’ultima maschera – ammesso che ce ne fosse bisogno – sulla realtà bestiale di Hamas. I suoi sgherri hanno persino il coraggio del cinismo più ributtante: parlano di “prigionieri di guerra” e non di ostaggi. Prigionieri di guerra sarebbero i bambini spauriti al fianco della mamma, quella ragazza trascinata tremante in un Suv, la turista uccisa e portata in giro nuda sul cassone di un pick-up da queste bestie travestite da guerriglieri. Per quanto difficile e umanamente costosissimo, bisogna avere la forza del ragionamento freddo: i terroristi vogliono palesemente provocare la reazione più violenta possibile, per poter esporre le vittime civili della propria parte come un lugubre trofeo nella battaglia per stroncare qualsiasi possibilità di dialogo fra il mondo arabo e Israele. In queste ore, lo abbiamo fatto anche noi, si sprecano i parallelismi con un’altra giornata nera, cinquant’anni e 24 ore fa: l’inizio della guerra del Kippur. È corretto, ma con limiti evidenti. A differenza di quanto si racconti nel mondo arabo, quel conflitto alla fine sarebbe stato vinto da Israele. L’Idf (Israel Defense Forces) sbaragliò ancora una volta gli eserciti arabi, non raggiungendo il Cairo e Damasco solo perché fermato dagli Usa. Questo la verità militare, ma allora Israele combattè contro Stati ed eserciti, in un quadro riconoscibile di “regole”. Oggi, contro terroristi che hanno in mano decine e decine di civili, oltre i militari. Cambia tutto. È interessante ricordare, piuttosto, come politicamente lo shock di essere stati colti di sorpresa costò infine il governo a Golda Meir (che aveva vinto), mentre chi aveva perso come il presidente egiziano Sadat poté sfruttare il punto psicologico messo a segno per avviare quel processo che avrebbe portato incredibilmente alla pace con Israele. Il dramma di oggi è che dall’altra parte non c’è un politico all’occorrenza cinico e spietato, ma lucido e coraggioso come Sadat, ma signori della guerra che non si schiodano da un’unica idea: morte a Israele. di Fulvio Giuliani

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