Libano sull’orlo del collasso
Il direttore di direttore di “Start Insight” Claudio Bertolotti: «Beirut rischia di precipitare nella guerra civile che ora brucia sotto la cenere»
«Il governo di Beirut di fatto non ha alcun controllo politico né militare su Hezbollah e sui territori controllati dai miliziani al confine con Israele» spiega Claudio Bertolotti, direttore di “Start Insight”, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale (Ispi), esperto di terrorismo, intelligence e sicurezza nel Medio Oriente e in Nordafrica.
A suo giudizio la presa di distanza del governo di Beirut da Hezbollah «è una forma di cautela nei confronti di Israele, di fronte a un progressivo e apparentemente inarrestabile coinvolgimento proprio di Hezbollah nella guerra contro Israele e in supporto della visione iraniana degli equilibri nell’area». Il ruolo dei miliziani libanesi è infatti quello «di proxy, un attore di prossimità che gioca a favore delle mire di Teheran di indebolire in maniera sempre più significativa Tel Aviv, senza però essere coinvolto direttamente. Questo infatti non rientra nei piani dell’Iran, anche se poi a livello emotivo potrebbero essercene i presupposti».
Semmai il vero rischio è che il Libano possa precipitare in una situazione conflittuale aperta con Israele «che di fatto porterebbe il Paese a un collasso politico e sociale, facendo riemergere le dinamiche di una guerra civile. Queste bruciano sotto la cenere e attendono il momento più opportuno per riesplodere. C’è il pericolo di una guerra fra fazioni: in particolare fra quella cristiano-maronita, quella sunnita e quella sciita di Hezbollah».
Finora la missione Unifil ha permesso di scongiurare una escalation, insieme all’avvicinamento delle portaerei statunitensi alle coste. «Non dimentichiamo che da ormai 15 anni svolge su mandato dell’Onu una missione specifica di interposizione fra le parti e di monitoraggio. Il suo ruolo non è quindi impedire che possa svilupparsi un conflitto fra le parti» precisa Bertolotti. «Da un punto di vista militare non è neppure equipaggiata per affrontare un conflitto di media e alta intensità: ha le sole dotazioni necessarie all’azione di monitoraggio.
D’altro canto il contributo significativo dato dagli Usa (con portaerei, equipaggiamenti navali e componenti aerei imbarcate e già trasferite sul suolo israeliano) assicura un ruolo di deterrenza ed eventualmente anche di intervento diretto a supporto di Israele, contro qualunque obiettivo dovesse rappresentare una minaccia a Gerusalemme e all’esistenza di Israele» spiega Bertolotti. «Da questo punto di vista le forze statunitensi presenti e in arrivo potrebbero fare la differenza in caso di conflitto aperto e in previsione dell’offensiva israeliana via terra nella Striscia di Gaza contro Hamas».
L’importanza del Libano è confermata dalla visita a sorpresa che il ministro della Difesa Crosetto ha fatto al nostro contingente militare (oltre mille uomini) impegnato nell’area. «I pericoli sono innanzitutto quelli indiretti del conflitto in corso, come si è visto qualche giorno fa quando una parte di un razzo di Hezbollah è caduta su una infrastruttura Unifil, anche se non del contingente italiano» ricorda Bertolotti. «Questi sono rischi calcolati, ma se la situazione dovesse degenerare e andare oltre i limiti previsti sarebbe quasi automatico pensare a una riorganizzazione della missione Unifil o in ultima istanza anche alla sua cessazione».
di Eleonora Lorusso
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!