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Ue

L’Ue che non c’è

L’assenza oggettiva dell’Ue come attore unico in politica estera è una delle armi propagandistiche più utilizzate contro di lei
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L’Ue che non c’è

L’assenza oggettiva dell’Ue come attore unico in politica estera è una delle armi propagandistiche più utilizzate contro di lei
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L’Ue che non c’è

L’assenza oggettiva dell’Ue come attore unico in politica estera è una delle armi propagandistiche più utilizzate contro di lei
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L’assenza oggettiva dell’Ue come attore unico in politica estera è una delle armi propagandistiche più utilizzate contro di lei

L’assenza oggettiva dell’Unione europea come attore unico in politica estera è una delle armi propagandistiche più utilizzate e a portata di mano dei tanti che anche in seno agli stessi 27 Paesi membri non vedono l’ora di sottolinearne mancanze, debolezze e ininfluenze. La guerra scatenata da Hamas contro Israele con gli attacchi del 7 ottobre è per loro un’occasione estremamente ghiotta.

Partiamo da qui: quanto accaduto nelle ultime settimane non può ovviamente essere scisso dal secolare conflitto arabo-israeliano, rispetto al quale i 27 hanno storicamente posizioni che nella migliore delle ipotesi non sono sempre coincidenti. Eufemismo. Anche all’interno di ciascun Paese le tensioni sono spesso fortissime e l’Italia ne è un ottimo esempio. Siamo passati dai decenni della politica sbrigativamente definibile ‘filoaraba’ a un’attenzione decisamente più sviluppata, dagli anni Duemila in avanti, per quelle che sono le ragioni oggettive dello Stato di Israele. Un merito storico-politico che va riconosciuto ai governi di centrodestra e che ha spinto (o costretto) il centrosinistra quantomeno a un’analisi più sviluppata di un fenomeno di incredibile complessità.

Tornando all’Unione europea, una realtà del genere è il peggior banco di prova possibile per trovare quello che è il mantra di sempre in materia di grandi controversie internazionali: il compromesso. Questo perché è vero che l’Ue non ha una politica estera condivisa, ma per il semplice motivo che nessuno ha mai pensato la dovesse avere. È abbastanza surreale accusare l’Unione di una mancanza che semplicemente non può esistere. Perché nessuno dei 27 Paesi membri – 28 quando c’era ancora la Gran Bretagna, con tutto il suo peso in termini di politica estera – ha mai posto seriamente sul tavolo il tema della cessione di sovranità in materia di difesa e politica estera. Due realtà che non possono restare scisse, se non ci si vuole nutrire soltanto di illusioni. Non si fa politica estera senza una deterrenza militare degna di questo nome e tanto nell’uno quanto nell’altro caso i Paesi membri non hanno mai deciso di affrontare l’elefante nella stanza. Questa, si badi, non è una giustificazione ma una presa d’atto di come sia intellettualmente disonesto usare come arma contro l’Ue ciò che i membri non hanno mai fornito all’Unione stessa.

Altro è non dire che sarebbe giunta più che mai l’ora, in un mondo squassato da guerre nuove e antiche, di far assurgere l’Ue al ruolo che ha nel suo destino. L’Unione è per eccellenza la terra dei diritti, dei valori e dei princìpi intangibili. Un presupposto di straordinario valore, che fa della nostra terra un faro nel mondo. Se depuriamo il dibattito da chi è interessato soltanto alla polemica, milioni di persone si mettono in marcia – letteralmente – verso l’Europa spinti indiscutibilmente da motivazioni economiche, ma anche perché sicuri di poter trovare condizioni di vita e di rispetto dell’individuo sconosciuti nei Paesi d’origine e in tante di quelle Nazioni che troppi stolti hanno ammirato acriticamente anche in casa nostra.

Per far pesare tutto questo bisogna poter fare politica estera e per fare politica estera, come si diceva, bisogna avere una politica di difesa. Tutto il resto è dibattito buono per chi ha interesse soltanto alla caciara per la caciara, per chi legittimamente non crede nel progetto di un’Europa forte e unita e anche per chi è direttamente a libro paga dei nemici dell’Unione.

Se crediamo di poter recitare un ruolo con l’Alto commissario per la politica estera (una carica puramente onorifica e senza alcuna base politica) o con le eterne gelosie fra il presidente della Commissione europea, il presidente del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante stesso, possiamo anche evitare di sprecar tempo. Il problema non sono le persone che ricoprono queste cariche, ma l’architettura stessa che le ha generate. L’unico salto di qualità possibile, per mettere l’Unione europea al centro del mondo – dove merita di stare – è affrontare la governance della stessa. Ma per farlo urgono statisti.

di Fulvio Giuliani 

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