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L’elefante è entrato in cristalleria

Il ministro dell’Economia ha riconosciuto che le stime di crescita per il 2023 si dovrà rivederle al ribasso, scaricando le responsabilità sulla Bce
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L’elefante è entrato in cristalleria

Il ministro dell’Economia ha riconosciuto che le stime di crescita per il 2023 si dovrà rivederle al ribasso, scaricando le responsabilità sulla Bce
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L’elefante è entrato in cristalleria

Il ministro dell’Economia ha riconosciuto che le stime di crescita per il 2023 si dovrà rivederle al ribasso, scaricando le responsabilità sulla Bce
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Il ministro dell’Economia ha riconosciuto che le stime di crescita per il 2023 si dovrà rivederle al ribasso, scaricando le responsabilità sulla Bce
L’elefante è entrato in cristalleria e taluni ancora si soffermano a osservare la lucentezza di quelli che non s’avvedono essere cocci. Il ministro dell’Economia ha riconosciuto che le stime di crescita per il 2023 si dovrà rivederle al ribasso, ma ha irragionevolmente confermato quelle per il 2024, senza spiegare come possa avvenire il prodigio. Se si tratta di un modo per non dovere correggere la legge di bilancio che si è appena presentata, sappiano che correggerla dopo che sarà stata smentita dai fatti, nei primi mesi dell’anno prossimo, sarà più doloroso. Par di cogliere la tentazione di scaricare la responsabilità delle sbagliate previsioni sulla Banca centrale europea: sono le sue decisioni sui tassi d’interesse ad avere fatto crescere il costo del debito e rallentato la crescita. Tentazione infantile, che avrebbe il solo effetto di dimostrare confusione d’idee e timore delle conseguenze. Supporre che i tassi d’interesse potessero restare in eterno a zero o sottozero, nel mentre l’inflazione correva, è insensato. Proclamare che la corsa dei prezzi va fermata – magari inseguendola con il “carrello tricolore” – e poi pretendere che il denaro non costi nulla è contraddittorio. Ma, soprattutto, quel che paghiamo sul nostro enorme debito pubblico non dipende dalle decisioni della Bce, ma dagli orientamenti di chi presta i soldi e compra i titoli del debito pubblico: siamo nella stessa Unione monetaria degli altri 18, ma paghiamo più di tutti e significativamente più dei greci. Questo è il problema, non la Bce. Che, semmai, è parte della soluzione ed è un argine di sicurezza. Tentazione infantile, quindi, ma anche da bambini testoni che mostrano di non imparare dai propri errori. Trascinare ancora lo strazio del Meccanismo europeo di stabilità serve soltanto a dare ulteriore spazio a quanti, nel mondo della destra, non stanno aspettando altro che potere dare del traditori ai loro governanti. Siccome contano zero, sarebbe saggio non consentire loro di menarla ancora a lungo. Non è un errore non ratificare la riforma, perché quella sarebbe una cavolata a danno dell’Italia e voglio escludere che ci siano in giro matti pronti ad assumersi quella responsabilità: è un errore rinviare. A un certo punto basta. Come è un errore – doppio perché ridicolo – supporre che si possa sostenere che le gare per l’assegnazione del demanio costiero, delle spiagge, le facciamo ma soltanto per i pezzi di costa in cui nessuno ha mai fatto niente. Ridicolo, perché una volta che ammetti il principio (giustissimo) della gara non si capisce come si possa applicarlo a spizzichi e bocconi e perché se nessuno ha mai fatto nulla su quei pezzi di costa una ragione dovrà pur esserci. Semmai mancano le spiagge libere attrezzate. Un cosa grossa, il Mes, e una cosa ridicola, le spiagge (ma rilevante sul piano del diritto), suggeriscono che sperare di dare la colpa dell’elefante all’Ue, manco fosse il fuggiasco leone di Ladispoli, sarebbe segno di estrema debolezza, facendo ricorso al raggiro. Piuttosto: quando avranno finito di accapigliarsi sulle norme degli scioperi – evitando accuratamente di parlare della sostanza, delle politiche per il lavoro e delle scelte fiscali e di spesa pubblica – cerchino di dare un occhio al pachiderma entrato nella cristalleria. Se si cresce meno, oltre ad aggiustare tutti gli altri parametri del bilancio, si deve puntare sulle cose che servono ad accelerare il passo: concorrenza, elasticità contrattuale, formazione dei lavoratori, agenzie del lavoro che non siano asfitticamente regionali, scelta degli immigrati necessari al sistema produttivo, digitalizzazione dell’amministrazione pubblica, giustizia che si misuri in semestri e non in lustri. Nell’elenco non ci sono le questioni costituzionali che sono state anteposte, perché questioni illusorie e da illusi. Molti fattori hanno determinato il più che ventennale stallo italiano, nel mentre l’Italia costretta alla competizione andava alla grande. Fra questi le frasi fatte e i proclami senza idee.   di Davide Giacalone

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