Quando una foto fa la storia
Fare politica non vuol dire esser ritratti in una fotografia ma a volte – e alcuni passaggi epocali della storia lo dimostrano – è stare in una fotografia
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Fare politica non vuol dire esser ritratti in una fotografia ma a volte – e alcuni passaggi epocali della storia lo dimostrano – è stare in una fotografia
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Quando una foto fa la storia
Fare politica non vuol dire esser ritratti in una fotografia ma a volte – e alcuni passaggi epocali della storia lo dimostrano – è stare in una fotografia
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Fare politica non vuol dire esser ritratti in una fotografia ma a volte – e alcuni passaggi epocali della storia lo dimostrano – è stare in una fotografia
La storia in una fotografia. Oggi che l’uso delle immagini è diventato – dall’avvento dei social in avanti – facile, quotidiano e spesso banale (basta un telefonino e via), non bisogna confondere il significato politico di alcuni scatti che inquadrano leader politici o momenti dell’attualità con il reality a portata di smartphone per tutti. La riflessione nasce dall’intervento, nei giorni scorsi alla Camera, della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la quale ha sostenuto che «per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania». Fare politica, ovviamente, non vuol dire esser ritratti in una fotografia ma a volte – e alcuni passaggi epocali della storia lo dimostrano – è stare in una fotografia. Esserci, mentre tutto cambia.
Andando a zonzo nel passato, di esempi ne troviamo parecchi. Cominciando dal più recente, anno 2022: uno scatto sul treno per l’Ucraina che ritrae seduti a parlare in una carrozza Mario Draghi (allora presidente del Consiglio), il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron. Quella foto non ha valenza di opportunità ma di significato. Significa i tre principali Paesi Ue uniti nel sostegno a Kiev invasa dai russi. Ancor più di recente, la fotografia di Giorgia Meloni seduta a parlare nella sala di un hotel di Bruxelles con Macron e Scholz alla vigilia del Consiglio Ue che aveva sul tavolo l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, è foto di sostanza e non di cornice. Significa che l’Europa (con questi tre Stati che assieme fanno poco meno della metà dei suoi abitanti) esiste e conta, a prescindere dalle divisioni di schieramento: destra, sinistra o quel che vi pare. Del resto le immagini che fanno storia sono più facili da ricordare, per il grande pubblico, di manuali ben scritti o di articoli di giornale. Ed è anche per questa facilità di comprensione, per questa immediatezza, che la fotografia si fa messaggio politico e non opportunità per vanagloria o narcisismo di questo o quel leader.
Conferenza di Monaco, 1938. Lo scatto che ritrae un Adolf Hitler tronfio e soddisfatto accanto a Benito Mussolini e ai due mogi leader democratici di Francia e Gran Bretagna, Édouard Daladier e Neville Chamberlain, è storia (e persino fosco presagio, se volete) in un’immagine. Anni dopo, nel 1945, con la Germania nazista ormai praticamente sconfitta, l’immagine di Jalta, in Crimea, che ritrae il presidente americano Franklin Delano Roosevelt assieme al dittatore comunista Iosif Stalin e al primo ministro britannico Winston Churchill è l’icona della nuova geopolitica che uscirà dalla fine della Seconda guerra mondiale. Anni più tardi, nel 1963, in piena Guerra fredda, con il mondo separato dalla rivalità fra Usa e Urss, l’immagine del presidente americano John F. Kennedy a Berlino è storia, anch’essa.
Oltre il contesto di ogni cronaca possibile. È politica. Come lo è, anno 1985, l’istantanea del vertice di Ginevra dove il presidente Usa Ronald Reagan parla con il presidente sovietico Michail Gorbaciov, entrambi seduti su un divano. Avanza la distensione. Anche con una fotografia.
Di Massimiliano Lenzi
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