Come rafforzare e cambiare la Consob
Dal 2000 le direttive europee si sono fatte sempre più dettagliate. Si può dire che la fine di quella che qualche critico di sinistra chiama ancora l’ideologia ‘mercatista’, abbia messo in secondo piano le competenze acquisite dalla Consob
Come rafforzare e cambiare la Consob
Dal 2000 le direttive europee si sono fatte sempre più dettagliate. Si può dire che la fine di quella che qualche critico di sinistra chiama ancora l’ideologia ‘mercatista’, abbia messo in secondo piano le competenze acquisite dalla Consob
Come rafforzare e cambiare la Consob
Dal 2000 le direttive europee si sono fatte sempre più dettagliate. Si può dire che la fine di quella che qualche critico di sinistra chiama ancora l’ideologia ‘mercatista’, abbia messo in secondo piano le competenze acquisite dalla Consob
Dal 2000 le direttive europee si sono fatte sempre più dettagliate. Si può dire che la fine di quella che qualche critico di sinistra chiama ancora l’ideologia ‘mercatista’, abbia messo in secondo piano le competenze acquisite dalla Consob
La Consob è un’istituzione relativamente giovane (la legge istitutiva è del 1974 e ha cominciato a funzionare dal 1985) ma complessa. Il mondo con cui ha a che fare quotidianamente è articolato per soggetti in potenziale conflitto fra loro: intermediari,
emittenti, mercati di contrattazione degli strumenti finanziari; le funzioni che deve amministrare sono anch’esse assai diverse e in potenziale conflitto: normativo-legislativa, paragiurisdizionale, di vigilanza.
Il contesto in cui opera è ugualmente complesso: istituzioni europee, altri organismi (a partire dalla Banca d’Italia) dai poteri analoghi ma non coincidenti o coordinati, Mef, Parlamento, magistratura penale, civile e amministrativa. Al vertice c’è un collegio di cinque persone, fra cui un presidente, tutte di nomina governativa sottoposta a parere non vincolante delle Commissioni Finanze di Camera e Senato; un regolamento interno che non prevede deleghe permanenti ai singoli commissari; una struttura di carriera autonoma al cui vertice c’è un direttore generale, con un segretario generale a fare da raccordo con il Collegio.
Forse è venuto il momento di semplificare. Fino agli anni Novanta, la Consob ha avuto un innegabile ruolo modernizzatore fra le istituzioni del Paese nell’introdurre una regolamentazione dei mercati finanziari di derivazione anglosassone (soprattutto inglese) ma estranea alla cultura bancocentrica risalente agli anni Trenta. L’innesto (non sempre riuscito) fra queste due culture è stato quindi perseguito, da governo e Parlamento, anche su impulso della Consob stessa (il risultato più compiuto è il Testo unico della Finanza del 1998, una volta noto come “Legge Draghi” dal nome dell’allora direttore generale del Tesoro). Il prestigio dell’istituzione era legato al riconoscimento – da parte della politica e del resto dell’apparato dello Stato – di una specifica competenza non meramente burocratica ma culturale, in un ambito di responsabilità amministrativa ritenuto universalmente importante se non strategico.
A partire dal 2000, la funzione normativo-legislativa sui mercati finanziari è migrata quasi interamente a Bruxelles: le direttive europee si sono fatte sempre più dettagliate e le varie ‘Consob’ degli Stati membri sono state obbligate al coordinamento, creando una rete a volte inestricabile ma vincolante. La crisi del 2008 ha fatto il resto, mettendo in crisi l’utopia dell’autoregolamentazione dei mercati e della stessa idea della trasparenza: i prezzi sui mercati devono essere in qualche modo sorvegliati dalle banche centrali e quindi con la moneta, il rischio sistemico richiede un controllo pervasivo e minuzioso del business bancario.
Si può dire che la fine di quella che qualche critico di sinistra chiama ancora l’ideologia ‘mercatista’ abbia messo in secondo piano le competenze acquisite negli anni dalla Consob, esponendola da un lato alla fame di spazi di una classe politica anch’essa degradata e dall’altro alle contestazioni di Procure (specie quella di Milano) in cerca di un ruolo di influenza, se non di governo, delle dinamiche del potere finanziario del Paese.
Certo, qualche tendenza alla permeabilità nei confronti di ‘vested interests’ la Commissione negli anni l’ha dimostrata, indipendentemente da chi la presiedeva: senza parlare delle ultime vicende, apparve irragionevole che Pirelli non dovesse consolidare Telecom (e il suo debito) ai tempi di Tronchetti Provera così come non è stato nell’interesse del risparmiatore tutelare un’industria tutto sommato parassitaria come quella delle reti di vendita di prodotti finanziari, peraltro un unicum in Europa.
Veniamo all’oggi. Occorre ripensare l’impianto originario, anche abbandonando il feticcio delle Authority ‘indipendenti’, non più necessario in epoca di sempre maggiore integrazione europea. Magari separando la funzione giurisdizionale da quella di vigilanza e dando un ruolo decisionale maggiore agli staff interni, con un organo esclusivamente tecnico e uno di controllo e indirizzo, nominato dal governo e meglio se condiviso con altre Autorità. Se non altro solleveremmo politici, giornalisti e noi lettori dall’occupazione tutto sommato inutile di capire chi sarà il prossimo presidente della Consob.
di Bancor
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