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Guido Crosetto

La sicurezza delle banche dati sensibili è un colabrodo

Il procuratore antimafia e quello di Perugia dipingono sfondi oscuri sugli accessi delle banche ai dati riservati, mentre chi governa si dichiara vittima

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La sicurezza delle banche dati sensibili è un colabrodo

Il procuratore antimafia e quello di Perugia dipingono sfondi oscuri sugli accessi delle banche ai dati riservati, mentre chi governa si dichiara vittima

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La sicurezza delle banche dati sensibili è un colabrodo

Il procuratore antimafia e quello di Perugia dipingono sfondi oscuri sugli accessi delle banche ai dati riservati, mentre chi governa si dichiara vittima

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Il procuratore antimafia e quello di Perugia dipingono sfondi oscuri sugli accessi delle banche ai dati riservati, mentre chi governa si dichiara vittima

Più che temere il sovvertimento, avvertiamo il disfacimento. Il procuratore nazionale antimafia ha sostenuto che la quantità e la sistematicità degli accessi alle banche dati riservate sono tali che ben difficilmente può trattarsi di iniziative individuali. Ci devono essere un mandante e un disegno, ma non sa quali. Il capo della Procura di Perugia, incaricato delle indagini, il giorno appresso – sempre rivolgendosi alla Commissione parlamentare antimafia – ha detto che gli accessi sono ben più numerosi di quello che si crede e che sono «mostruosi e inquietanti». Il tutto parte da una denuncia fatta da Guido Crosetto, ministro della Difesa, mentre vari esponenti parlamentari e governativi denunciano l’estrema gravità dei fatti e reclamano di sapere chi sia il mandante. Ma a chi lo chiedono? La settimana scorsa pareva fosse lesa onorabilità far osservare che qualcuno potesse avere manganellato a sproposito dei minorenni, invocando accoratamente che non si delegittimi chi indossa la divisa, mentre qualche ora dopo non si esita a indicare in una o più divise dei sovvertitori dell’ordine democratico, salvo chiedere di conoscerne i mandanti. Singolare.

Il procuratore antimafia e quello che indaga dipingono sfondi oscuri e trame buie, mentre chi governa si dichiara vittima e invoca la luce sull’ordito sovversivo. Sembrano non essere sfiorati dall’idea che a rimediare dovrebbero essere loro. Sarò ingenuo, ma più che la trama mi colpisce la smagliatura. Anche un peracottaro può essere pericoloso, specie se associato a suoi simili, ma l’elenco degli spiati – largamente incompleto, parrebbe – è tale da suggerire affreschi fangosi, più che disegni politici. Certo che vanno accertate la natura e le finalità di quegli accessi, ma limitarsi a quelli è come concentrarsi su quanti, politici e magistrati, si vedono a una cena o si riuniscono a Piazzale Ungheria, laddove il tema vero è la realtà correntizia e spartitoria, il mercanteggiamento di bestiame che accompagna le decisioni del Consiglio superiore della magistratura. Le cene sono dettagli coloriti, ma la sostanza è l’altra. Cosa che so senza alcun bisogno di attendere l’esito di indagini che si candidano a essere senza esito. Se Melillo e Cantone (i due procuratori auditi) hanno lanciato allarmi reali, il tema è che si possono fare indagini anche a scopo privato e che la sicurezza delle banche dati sensibili è un colabrodo. E la soluzione a questo problema spetta a chi legifera e governa: che deve darla, non chiederla. In Parlamento hanno fra i colleghi chi era a capo dell’antimafia all’epoca degli accessi contestati, chiedano suggerimenti. Crosetto ha fatto bene a denunciare, ma se si deve aspettare la sua denuncia per buttare un occhio sul mostruoso e inquietante è segno che i controlli sugli accessi sono una fetecchia. Siccome è bene che esistano raccolte di dati sensibili, anche molto sensibili, perché ciò ha a che vedere con la sicurezza nazionale, ne deriva che non solo deve potere accedere soltanto chi è responsabile di ciascun accesso, ma che deve esistere un centro di controllo che costantemente interroga quanti accedono per riscontrare la rispondenza fra l’ordine ricevuto, l’indagine effettuata e il dato scaricato. Altrimenti finisce che il cornuto cerca il pelo di chi gli violò il coniuge. O ci cerca i cavoli di un cantante. Poi ci cerca quelli di un politico e lo nobilitano a tessitore di trame, così dimostrando poca stoffa da statisti perché le cose più pericolose sono quelle sul cantante e sul cornificatore, giacché quelle dimostrano l’uso privato dei dati prelevati. Tanto più che poi li si passa pure a giornalisti, quelli adusi al coraggioso e servile ‘copia e incolla’, la cui carriera andrebbe separata da quella dei procuratori e della polizia giudiziaria.

Non so fra quanti anni si farà un processo e neanche se si farà. Quel che è evidente è che si deve rimediare oggi stesso, che domani è già tardi. E va fatto cambiando il sistema. E crepa che si sia sentita una parola, su questo.

Di Davide Giacalone

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