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Santanchè, tra richiesta di processo e dimissioni

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La notizia del rinvio al giudizio per l’attuale ministro del Turismo Daniela Santanché e le battaglie contro i mulini a vento

Santanchè, tra richiesta di processo e dimissioni

La notizia del rinvio al giudizio per l’attuale ministro del Turismo Daniela Santanché e le battaglie contro i mulini a vento

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Santanchè, tra richiesta di processo e dimissioni

La notizia del rinvio al giudizio per l’attuale ministro del Turismo Daniela Santanché e le battaglie contro i mulini a vento

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Ci sono notizie per le quali si può star certi che al semplice apparire del titolo – su carta, in video o su display – scatterà un riflesso condizionato come manco le campanelle dei cani di Pavlov erano capaci di provocare. Tra le più gettonate c’è la notizia di un rinvio a giudizio: già quando riguarda un normale cittadino la prima reazione è di essere di fronte a un sicuro colpevole; quando si tratta di un politico l’istinto immediato si arricchisce con un «Dimissioni subito!».

Ora: si può essere a digiuno di diritto penale e non sapere che un rinvio a giudizio è solo la decisione con cui un gup ti dice che dovrai affrontare un dibattimento. Lo è molto meno ignorare che secondo la Costituzione l’imputato non è colpevole fino alla condanna definitiva.

Ieri la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l’attuale ministro del Turismo Daniela Santanchè, per il suo compagno e per due società (tra cui Visibilia, di cui Santanchè è stata amministratrice) per presunte irregolarità nell’uso della cassa integrazione in deroga Covid.

L’opposizione ha mostrato riflessi da sprinter: la richiesta di dimissioni è giunta addirittura con la sola richiesta dell’accusa, il gup deve ancora decidere se archiviare o far processare gli indagati. Ma se il ministro ha ritenuto di non doversi dimettere fin qui né gliel’hanno mai chiesto i colleghi di partito, perché mai dovrebbe farlo adesso? Un ragionamento – si badi bene – valido ovviamente anche a parti invertite.

di Valentino Maimone

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