‘Più ubriachi e cuore a rischio’, alert dalla scienza per chi beve in volo
Milano, 5 giu. (Adnkronos Salute) – C’è chi inganna l’attesa al bar dell’aeroporto prima della partenza. E chi non rinuncia al bicchiere di vino o birra in volo, magari anche come antistress. Ma la verità sul bere in aereo la dice la scienza. E non è una buona notizia per gli amanti del drink in alta quota. Un nuovo studio mette in guardia sull’effetto che la combinazione dell’alcol e della pressione in cabina all’altitudine di crociera: secondo gli autori, un team tedesco, può mettere a rischio la salute cardiaca dei passeggeri che dormono, in particolare sui voli a lungo raggio. Il lavoro, pubblicato online sulla rivista ‘Thorax’, dimostra che l’accoppiata è pericolosa perché riduce la quantità di ossigeno nel sangue e aumenta la frequenza cardiaca per un periodo prolungato, anche in persone giovani e sane.
E maggiore è il consumo di alcol, maggiori potrebbero essere questi effetti, in particolare ovviamente tra i più anziani e chi ha patologie di base. Tanto che, per i ricercatori, “potrebbe essere giunto il momento di considerare limitazioni all’accesso all’alcol a bordo sui voli a lungo raggio. Ma c’è di più. Un ulteriore aspetto lo evidenzia il medico Clare Morrison, come riporta il ‘Daily Mail’ online: “Un livello più basso di ossigeno nel sangue significa che potresti sembrare più ubriaco in aria di quanto non lo saresti a terra, dopo aver consumato la stessa quantità di alcol. Quando si è su un aereo, infatti, la pressione barometrica in cabina è inferiore a quella normale. Questa diminuzione della pressione fa sì che il corpo trovi più difficile assorbire l’ossigeno e questo può produrre vertigini o ipossia”. E amplificare la sensazione di ebbrezza.
Tornando allo studio, gli scienziati mettono in evidenza che la diminuzione esponenziale della pressione atmosferica con l’altitudine causa un calo del livello di saturazione di ossigeno nel sangue fino a circa il 90% nei passeggeri sani ad altitudine di crociera, spiegano i ricercatori. Un ulteriore calo al di sotto di questa soglia è definito come ipossia ipobarica o basso livello di ossigeno nel sangue ad altitudini più elevate. L’alcol dal canto suo rilassa le pareti dei vasi sanguigni, aumentando la frequenza cardiaca durante il sonno, un effetto simile a quello dell’ipossia ipobarica, quindi i ricercatori volevano capire se il mix avesse un effetto amplificato. Hanno diviso 48 persone di età compresa tra 18 e 40 anni in due gruppi stratificati per età, sesso e peso (Bmi). La metà è stata assegnata a un laboratorio del sonno in normali condizioni di pressione dell’aria (livello del mare) e l’altra metà a una camera in altitudine che imitava la pressione della cabina di un aereo all’altitudine di crociera (2.438 m sopra il livello del mare).
In ciascun gruppo per una notte 12 persone hanno dormito 4 ore senza bere alcolici, mentre 12 hanno dormito per la stessa durata ma avendo bevuto alcolici. Dopo 2 notti di recupero è seguita un’ulteriore notte in cui il processo è stato invertito. I partecipanti hanno bevuto l’equivalente (in vodka pura) di 2 lattine di birra o 2 bicchieri di vino (175 ml) alle ore 23.15 e il loro ciclo del sonno, i livelli di ossigeno nel sangue e la frequenza cardiaca sono stati monitorati continuamente fino alle 4 del mattino. L’analisi finale ha incluso i risultati di 23 persone nel laboratorio del sonno e di 17 nella camera in altitudine.
Nel gruppo ‘alcol in alta quota’ i livelli di ossigenazione sono crollati a circa 85% in media, con un aumento compensatorio della frequenza cardiaca a una media di quasi 88 battiti al minuto durante il sonno. La performance peggiore rispetto agli altri gruppi. E i livelli di ossigeno al di sotto della norma clinica sana (90%) sono durati per 201 minuti per le persone sottoposte al mix alcol e simulazione delle cabina di un aereo, rispetto ai 173 minuti del gruppo in alta quota che non aveva bevuto e a 0 minuti di chi era in condizioni simili a quando si sta a terra, con o senza alcol.
I ricercatori riconoscono la piccola dimensione del campione del loro studio e il fatto di aver analizzato solo soggetti giovani e sani, non riflettendo dunque la popolazione generale. Inoltre, i partecipanti hanno dormito stesi, ‘lusso’ solitamente concesso solo a chi vola in prima classe, quindi i risultati potrebbero non applicarsi allo stesso modo alla maggior parte dei passeggeri che volano in classe economica, aggiungono. Tuttavia, nel complesso i dati “indicano che, anche in ragazzi in salute, la combinazione dell’assunzione di alcol con il sonno in condizioni ipobariche pone uno sforzo considerevole sul sistema cardiaco e potrebbe portare ad un’esacerbazione dei sintomi in pazienti con problemi cardiaci o malattie polmonari”. Tra l’altro i numeri della ‘vita reale’ evidenziano che “i sintomi cardiovascolari hanno una prevalenza del 7% delle emergenze mediche in volo, con l’arresto cardiaco che causa il 58% dei cambi di rotta aerei”. “Gli operatori sanitari, i passeggeri e l’equipaggio dovrebbero dunque essere informati sui potenziali rischi” di bere in volo.
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