Il pacco fatto dalla mamma
È un rito irrinunciabile: miele per la malinconia e impegno dei propri cari nella preparazione piena d’amore. È il pacco fatto dalla mamma, quello ‘da giù’
Il pacco fatto dalla mamma
È un rito irrinunciabile: miele per la malinconia e impegno dei propri cari nella preparazione piena d’amore. È il pacco fatto dalla mamma, quello ‘da giù’
Il pacco fatto dalla mamma
È un rito irrinunciabile: miele per la malinconia e impegno dei propri cari nella preparazione piena d’amore. È il pacco fatto dalla mamma, quello ‘da giù’
È un rito irrinunciabile: miele per la malinconia e impegno dei propri cari nella preparazione piena d’amore. È il pacco fatto dalla mamma, quello ‘da giù’
Nel 1971 Josè Feliciano e i Ricchi e Poveri cantavano al Festival di Sanremo “Che sarà”, il cui testo malinconico e bellissimo racconta la storia di tanti italiani che in quegli anni lasciavano la propria terra: «Paese mio che stai sulla collina / la noia, l’abbandono, il niente son la tua malattia / paese mio ti lascio, io vado via».
È buona cosa non dimenticare mai da dove si viene e conservare le proprie radici, ma lo è altrettanto lasciarsi muovere dall’ambizione anche se questa porta lontano da casa. Oggi più di allora è giusto farlo in un’Italia e in un mondo che offrono grandi possibilità a chi ha abbastanza fame per andarsele a prendere, checché ne dicano alcuni esperti del lamentio. Vale tanto per una carriera lavorativa quanto per un percorso di laurea.
E così, pur senza andare in Canadà, anch’io come i miei nonni ho messo le mie cose in valigia per andare a vivere lontano. Meno Ricchi e Poveri e più Checco Zalone che si fa rubare la chitarra lasciando Polignano a mare per la Lombardia: così sono entrato nel mondo degli studenti fuori sede. Nulla a che vedere con i sacrifici fatti all’epoca dai nonni, eppure sono certo che abbiamo provato la stessa malinconia. Quella che gli italiani sentono un po’ di più degli altri, nel sapersi lontani da casa. Come si combatte? Facendosi arrivare il calore di casa via posta, impacchettato in uno scatolone pesante circa quindici chili. È il ‘pacco da giù’, una tra le espressioni d’amore più grandi di una mamma per il proprio figlio. Di una mamma, non della famiglia tutta. E che nessuno si appelli al politicamente corretto, almeno qui.
Il ‘pacco da giù’ può anche non essere necessariamente una scatola: una busta, uno zaino pieno, la valigia di chi torna a casa quando può. Conta ciò che si trasporta, non il contenitore: ciambelloni, limoni, parmigiano, pasta, affettati. Persino saponi e detersivi. Nulla che non si trovi in un qualsiasi supermercato anche lontano da casa. Questi però sono ‘quelli buoni’ che costano un po’ di più, quelli che il figlio non comprerebbe per risparmiare. E poi barattoli di ogni tipo, forma e dimensione. Barattoli di sugo, brodo, verdure cotte.
Ogni singolo elemento del ‘pacco da giù’ è avvolto da uno a tre strati di involucro di qualsiasi tipo: carta stagnola, buste di plastica, carta assorbente. Tutto sigillato dal nastro adesivo con l’amore che può provare solo una madre per il proprio figlio, un amore così grande che a scartare il pacco ti commuovi nel renderti conto ancora una volta di quanto tu sia amato e di quanto non abbia ricambiato mai abbastanza quell’amore.
Ogni strato di plastica in più che avvolge il barattolo di ragù ti ricorda ciò che non hai fatto a sufficienza: abbracciare tua madre, dirle quanto le vuoi bene e quanto tu le sia grato per i sacrifici che ha fatto per tutta la sua vita e che continua a fare ogni giorno, solo per la tua salute e la tua felicità. È una riserva di amore sempre disponibile in congelatore, pronta a farti sentire un po’ più a casa quando la scongeli nel microonde. E il sapore che senti mangiando è la consolazione di quella malinconia da cui tutto nasce, quella che a volte ti torna nel cuore quando sei solo a cena, con la tavola a malapena apparecchiata con il primo cencio trovato nel cassetto.
di Luigi Santarelli
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