Il successo della sperimentazione sulla fusione nucleare in corso a Oxford ha avuto il merito di riaccendere un faro sul nucleare. Per una volta, quest’ultimo è inteso come fonte energetica inesauribile e al contempo sostenibile.
Il successo della sperimentazione in corso a Oxford sulla fusione nucleare ha avuto – fra gli altri – l’enorme merito di riaccendere un faro sul nucleare. Per una volta, non oscurato dall’ideologia. Nucleare inteso come fonte energetica inesauribile e al contempo sostenibile, dopo quasi quarant’anni di condanna al ruolo di Belzebù, dai tempi di Chernobyl. Come spesso accade, la realtà è ben più sfaccettata del sentiment popolare.
L’Italia (da decenni), la Germania e il Belgio hanno rinunciato alle centrali nucleari ma vivono immersi in un contesto che ne è ricco. A Ovest, con una Francia che ha appena annunciato, per bocca del presidente Macron, l’ulteriore potenziamento della produzione di energia nucleare, già forte di 58 reattori. A Est, dove si stanno costruendo centrali in Slovacchia o nuovi reattori di vecchie centrali in Romania, Bulgaria, Finlandia. Si fa presto a dire, insomma, «Siamo fuori dal nucleare!», facendo finta di non avere un centinaio di reattori ben più vicini di quello che esplose a Chernobyl e acquistando energia prodotta con l’atomo.
Ecco perché è di capitale importanza il successo ottenuto a Oxford nel Jet, il Joint European Torus, il reattore a fusione nucleare frutto della collaborazione fra le agenzie del Vecchio Continente.
Per la prima volta è risultata relativamente vicina la concreta possibilità di ottenere energia dal processo di fusione che – a differenza di quello a fissione nucleare utilizzato nelle attuali centrali (anche nelle future di quarta generazione) – è in grado di produrre grandissime quantità di energia senza i giganteschi problemi di sicurezza e dello smaltimento delle scorie radioattive generate dalla fissione. Ci riferiamo al ‘carburante’ utilizzato per avviare e controllare la reazione a catena nei reattori, che una volta esausto deve essere stoccato in luoghi sempre difficilissimi da individuare. Ne sappiamo qualcosa in Italia, incapaci di decidere dove costruire il deposito nazionale delle barre di uranio e di altri elementi contaminati delle nostre vecchie centrali (nonché dei rifiuti della medicina nucleare).Li abbiamo spediti all’estero, non avendo saputo trovare un’area adatta. Per questioni politiche, non certo geologiche.
La fusione nucleare è il processo più vicino a quello che avviene nelle stelle, in cui due o più atomi si fondono per dar vita a uno più pesante, liberando molta energia. Per provare a dare un’idea, nel nostro Sole ogni secondo 564,5 tonnellate di idrogeno si tramutano in 560 di elio, in un processo di fusione nucleare. Le 4,5 tonnellate rimanenti si trasformano in energia sotto forma di raggi gamma liberati nello spazio. Contrariamente alla fissione, come detto, nessuna scoria radioattiva viene prodotta. Una rivoluzione copernicana ma con enormi problemi da risolvere, a cominciare dalle mostruose temperature necessarie a innescare il processo di fusione. L’opportunità, però, c’è e l’Italia partecipa con l’Enea al progetto Iter, il reattore a fusione in costruzione nel Sud della Francia grazie alla collaborazione fra Europa, Giappone, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Corea.Per il successo di Iter è fondamentale proprio la sperimentazione in corso al Jet di Oxford.
Siamo in partita, dunque, come siamo sempre stati. Vantiamo una straordinaria scuola di fisica nucleare, che non si è mai interrotta dai tempi di Enrico Fermi e dei “ragazzi di via Panisperna”, che negli anni Trenta a Roma scoprirono le proprietà dei neutroni ‘lenti’, fondamentali per l’innesco della reazione a catena in un reattore nucleare (anche della bomba atomica, ma qui il discorso ci porterebbe lontano). Abbiamo il know-how, le capacità, siamo lì dove dobbiamo essere: manca il coraggio di scegliere una strategia. La fusione nucleare necessiterà ancora di molti anni e nessuno si spingerebbe ad azzardare oggi una data di inizio della distribuzione di energia prodotta in una centrale a fusione.Parliamo di investimenti a lunghissimo termine, ma potenzialmente capaci di cambiare l’idea stessa di mondo che lasceremo ai nostri figli.
Servirà un atteggiamento autenticamente ‘laico’ per indirizzare le scelte (e i tanti soldi) nell’interesse delle nuove generazioni. Altro che le solite battaglie pro e contro il nucleare. Può sembrare tutto molto lontano, ma il Sole dell’energia di domani si accende oggi. Di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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