Sessant’anni intrepidi
La storia del settimanale “Intrepido”. Una rivista che in pochi anni è diventata in Italia un nuovo punto di riferimento per l’avventura, fucina di libertà creativa e politica
Sessant’anni intrepidi
La storia del settimanale “Intrepido”. Una rivista che in pochi anni è diventata in Italia un nuovo punto di riferimento per l’avventura, fucina di libertà creativa e politica
Sessant’anni intrepidi
La storia del settimanale “Intrepido”. Una rivista che in pochi anni è diventata in Italia un nuovo punto di riferimento per l’avventura, fucina di libertà creativa e politica
La storia del settimanale “Intrepido”. Una rivista che in pochi anni è diventata in Italia un nuovo punto di riferimento per l’avventura, fucina di libertà creativa e politica
Chi non è timoroso – in latino trepidus – è intrepido, saldo di cuore. Gli italiani tuttavia dovettero importare questa qualità dalla Francia, quantomeno al fine di metterla su carta. Sono i fratelli Offenstadt di Parigi che nel 1910 danno alle stampe la rivista “L’Intrépide”, dal chiaro sapore avventuroso à la Louis Verne. Storie in prosa illustrata di esploratori e viaggiatori di terra, cielo e mare tra cannibali e Apache di gran successo tra i più giovani. Nove anni dopo il torinese Emilio Picco, con l’appoggio della famiglia Toselli, decise di importare il magazine in Italia come “L’Intrepido” e il settimanale ha successo per un buon decennio.
Nel 1929 la Picco & Toselli cessa però ogni pubblicazione e ci vorrà un altro coraggioso editore perché quell’aggettivo torni nei pavesi delle edicole. D’altronde il marchigiano Cino Del Duca, arruolato come uno dei “ragazzi del Novantanove”, è tornato dalla Grande Guerra con una Croce al merito. Socialista, dopo aver subìto un breve confino si è trasferito a Milano con la famiglia per fare il piazzista di libri. Ed è quando la Picco & Toselli si defila che lui fonda la sua prima realtà editoriale, pubblicando un romanzo di temi garibaldini (probabilmente ispirato all’esperienza del padre nella battaglia di Digione).
Con i soldi di “Cuore garibaldino” i Del Duca comprano un’intera tipografia, cosa che permette loro di pubblicare anche riviste. Nel 1933 inaugurano “Il Monello”, ispirato al film di Charlie Chaplin, che viene affidato da Cino alla moglie scrittrice Luciana Peverelli. Nel 1935 arriva invece la nuova incarnazione dell’aggettivo: stavolta però è “Intrepido”, senza articolo e in onore del soprannome dato al protagonista del romanzo a puntate principale della testata. Nata con lo stesso spirito verniano di quella degli Offenstadt, in pochi anni questa rivista diventa in Italia un nuovo punto di riferimento per l’avventura.
Nonostante l’iniziale prevalenza dei racconti, dal 1938 sono le strisce a fumetti che iniziano a farla da padrone, venendo ospitate persino in copertina. I Del Duca si fanno un punto d’onore di dedicare spazio ai fumettisti italiani, anche se già allora l’influenza dei fumetti statunitensi in Italia è enorme. Una ‘invasione culturale’ che Benito Mussolini apprezza in privato ma condanna in pubblico, portando presto a un bando delle opere d’oltreoceano. Nondimeno il veto fascista non è il cruccio più grande di Cino De Luca, che da qualche tempo ha preso una seconda cittadinanza in Francia. L’editore ha aderito già da tempo alla Resistenza francese col nom de guerre di Robert, facendo il corriere/staffetta per la rete Alliance. Nel 1943 il gruppo partigiano viene sfortunatamente sgominato dalla Gestapo di Strasburgo, ma Cino ha intanto la possibilità di tornare in Italia. Se la confusione causata dall’armistizio dell’8 settembre costringe poi un “Intrepido” di carta a prendersi una pausa, il suo altrettanto intrepido editore coglie l’occasione per entrare nei ranghi della Resistenza italiana.
Sconfitto il fascismo in Europa, la rivista riprende a essere stampata, mentre i Del Duca continuano una brillante carriera editoriale. Tanto che l’ultimo numero di questa rivista è il 3.047 del 1998, arrivato dopo ben 63 anni di pubblicazioni (meno i due di pausa durante la guerra) durante i quali si è dimostrato una fucina di libertà creativa e politica capace di lanciare autori quali Luca Enoch, Michelangelo La Neve e Davide Toffolo. Una felice avventura di un editore che si è dimostrato all’altezza del nome della sua rivista.
Di Camillo Bosco
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