Imprese, la Gran Bretagna guarda al modello italiano della legge Marcora
Roma, 14 feb. (Adnkronos/Labitalia) – Presto la Gran Bretagna potrebbe adottare una norma per sostenere il recupero di aziende in crisi da parte dei lavoratori. Una Legge Marcora, quindi, anche oltre Manica, che dia impulso alla nascita e allo sviluppo di imprese cooperative. Per questo John Glen, Economic secretary to the Treasury in Gran Bretagna ha incontrato una delegazione del Co-operative Party, affiliato dal 1927 al partito Laburista, e Camillo De Berardinis, amministratore delegato di Cfi-Cooperazione Finanza Impresa, società finanziaria partecipata e vigilata dal Mise, in prima linea per promuovere e sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese cooperative secondo il modello del workers buyout.
Un modello di intervento consolidato e di successo, quello della legge Marcora, che pone al centro il protagonismo, l’impegno diretto e la responsabilità dei soci lavoratori e li affianca con l’apporto di risorse pubbliche. Tutte condizioni, queste, che possono garantire maggiori opportunità di successo alle misure di sostegno pubblico a supporto delle pmi, con positivi effetti non solo economici, ma anche occupazionali e di coesione sociale.
La proposta di adozione di misure ispirate alla Legge Marcora è stata illustrata e sostenuta in due sedute della Camera dei Comuni dalla parlamentare Christina Rees, che ha promosso la video conferenza con il ministro, a cui hanno partecipato anche Joe Fortune, segretario generale del Co-operative Party, e Rob Bates, political and parliamentary officer del Co-operative Party. De Berardinis ha illustrato, partendo da una comparazione della situazione dei dati relativi al tasso di disoccupazione e ai fallimenti delle imprese nei due Paesi, le misure adottate in Italia ed i risultati ottenuti. Il ministro Glen ha manifestato interesse per l’esperienza realizzata da Cfi in Italia, e disponibilità a proseguire nel confronto.
“Il dibattito apertosi in Gran Bretagna sul fenomeno dei worker buyout è la dimostrazione della vitalità e attualità di questo strumento di politica attiva del lavoro e di sostegno allo sviluppo – ha evidenziato De Berardinis – e la consolidata esperienza realizzata da CFI nei suoi 35 anni di attività può essere messa a disposizione di chi vuole adattare questo modello di intervento al proprio Paese, non solo per la salvaguardia dell’occupazione ma per promuovere uno sviluppo socialmente sostenibile”.
“Il governo britannico – ha sostenuto Christina Rees – deve prendere come riferimento l’Italia, dove, più di 30 anni fa, è stata approvata una legge che dà ai lavoratori il diritto di acquistare l’azienda o una sua parte e, cosa più importante, il supporto finanziario per acquistarla costituendo una cooperativa di loro proprietà, che riceve da Cfi assistenza e una partecipazione al capitale. Centinaia di imprese italiane a rischio di chiusura sono diventate cooperative di lavoratori, salvaguardando l’occupazione e garantendo condizioni di lavoro eque. Un nostro recente sondaggio – conclude Rees – mostra che il 64% degli intervistati crede che l’economia avrebbe un beneficio se i lavoratori potessero acquistare la loro azienda a rischio di chiusura. Penso che abbiamo compiuto dei progressi, grazie alle risposte che il Ministro ha avuto sul funzionamento della legge Marcora”.
Dal 1986 al 2021 560 cooperative finanziate di cui 317 worker buyout, imprese in crisi rigenerate dai lavoratori riuniti in cooperativa. Investimenti per oltre 303 milioni di euro che hanno contribuito a salvaguardare e creare ben 25.117 posti di lavoro, di cui 9.655 nei Wbo, con un investimento medio per lavoratore di 12.086 euro. Con questi numeri Cfi-Cooperazione Finanza Impresa, finanziaria partecipata e vigilata dal ministero dello Sviluppo Economico che ha lo scopo di promuovere la nascita e lo sviluppo di imprese cooperative, festeggia i suoi 35 anni di attività.
Dal 1986 infatti Cfi è in prima linea per promuovere, incrementare e salvaguardare l’occupazione e sostenere la creazione di realtà cooperative con priorità a quelle costituite da lavoratori espulsi dal ciclo produttivo che decidono di avviare una nuova attività, i workers buyout, appunto.
Le imprese partecipate da Cfi hanno mostrato di essere capaci di vincere le sfide del mercato. Stando agli ultimi rilevamenti a disposizione, dal 2012 al giugno del 2021, solamente il 10% di esse non è sopravvissuto. Anche considerando questi insuccessi, l’occupazione complessiva delle imprese finanziate è cresciuta del 22% dall’anno dell’avvio al 2019, mentre il fatturato è cresciuto del 102%.
Con un ritorno complessivo per le finanze pubbliche, in termini di risparmi di sussidi, incasso di contributi previdenziali e imposte pari a oltre 6 volte il capitale investito.
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