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Italiani d’Italia

Nel dibattito acceso sullo ius scholae di queste settimane manca quel lavoro di onestà intellettuale che distingue dal mero nazionalismo all’amore per la nostra Storia

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Nel dibattito acceso sullo ius scholae di queste settimane manca quel lavoro di onestà intellettuale che distingue dal mero nazionalismo all’amore per la nostra Storia

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Nel dibattito acceso sullo ius scholae di queste settimane manca quel lavoro di onestà intellettuale che distingue dal mero nazionalismo all’amore per la nostra Storia

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Nel dibattito acceso sullo ius scholae di queste settimane manca quel lavoro di onestà intellettuale che distingue dal mero nazionalismo all’amore per la nostra Storia

Se depurato dalle incrostazioni partitiche, dal braccio di ferro tutto interno alla maggioranza a uso di giornali, radio, televisioni e social scarichi di notizie nel cuore di agosto, il dibattito sullo ius scholae avrebbe anche accenni di alto livello. Se fossimo capaci, però, di quel lavoro di ‘pulizia’ e onestà intellettuale che in tutta franchezza sembra continuare a latitare.

Più volte siamo intervenuti sul punto, sottolineando come – oltre le questioni puramente strumentali e ideologiche – tecnicamente parlando ci staremmo occupando di dettagli. Di differenze nei tempi necessari all’avvio delle pratiche di concessione della cittadinanza a ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, nell’ordine di due o tre anni. Intendiamoci: non poco e comunque in grado di impattare a oggi su circa 500mila ‘nuovi’ italiani da qui a cinque anni. Tanto, ma non epocale. Non in grado di cambiare, tanto per essere chiari, la faccia del Paese.

Di sanare qualche sperequazione, questo sì. Di metter mano a delle situazioni paradossali ma risolvibili se la politica non rinunciasse a fare il proprio mestiere. A legiferare, piuttosto che parlare. Se fossimo così ostinatamente gelosi del nostro passaporto (peraltro nelle primissime posizioni mondiali quanto a ‘forza’ del suo utilizzo, un dato di cui andar fieri), non avremmo concesso 213mila nuove cittadinanze in 12 mesi.

Piuttosto, quanti dei nostri figli non hanno mai sentito a scuola una parola che sia una sulla storia recente d’Italia? Anche quella economica, che parallelamente ai fenomeni migratori ha consentito a un Paese arretrato, povero e devastato dalla Seconda guerra mondiale di trasformarsi nel brevissimo volgere di una generazione in potenza economica mondiale. Del resto da anni vige la regola non scritta del giudizio distruttivo, se non direttamente dell’insulto, sulla storia dell’Italia repubblicana.

Quanti ragazzi italiani o non ancora italiani (cambia zero) hanno ascoltato una lezione su quel fenomenale decennio industriale che va dalla seconda metà degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta?

Facciamo alternativamente i gelosi della nostra cittadinanza o quelli prodighi di nuovi passaporti e poi abbiamo completamente dimenticato di insegnare agli italiani l’amore per il proprio Paese. Non patetico nazionalismo ma amore per la propria storia, che significa conoscenza e consapevolezza. Facciamo finta di aver scoperto una clamorosa questione di principio e poi abbiamo sostanzialmente regalato la cittadinanza ad argentini, brasiliani e tanti altri in virtù di trisavoli emigrati. Nulla di male, ma c’è gente con il nostro passaporto senza aver mai visto l’Italia e tantomeno aver parlato la nostra lingua. Anche quella è una legge, maturata in Parlamento, dove un Paese e una politica seria si confrontano, discutono, cercano l’anima di qualsiasi liberaldemocrazia che voglia funzionare: la sintesi.

di Fulvio Giuliani

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