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Sinner vince Us Open

La Storia si chiama Jannik Sinner

Non c’è mai stato un frammento della finale in cui Jannik Sinner abbia dato la sensazione di poter perdere l’occasione di vincere lo Us Open

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La Storia si chiama Jannik Sinner

Non c’è mai stato un frammento della finale in cui Jannik Sinner abbia dato la sensazione di poter perdere l’occasione di vincere lo Us Open

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La Storia si chiama Jannik Sinner

Non c’è mai stato un frammento della finale in cui Jannik Sinner abbia dato la sensazione di poter perdere l’occasione di vincere lo Us Open

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Non c’è mai stato un frammento della finale in cui Jannik Sinner abbia dato la sensazione di poter perdere l’occasione di vincere lo Us Open

Si vince in diversi modi, anche da favoriti. Non c’è mai stato un frammento della finale in cui Jannik Sinner abbia dato la sensazione di poter perdere l’occasione di vincere lo Us Open, il suo secondo titolo del Grand Slam in carriera, dopo il primo centrato in Australia, a gennaio. Neppure sotto di un break nel terzo set: linguaggio del corpo da padrone, lo statunitense Taylor Fritz, buon tennista che può anche affacciarsi tra i primi dieci al mondo, e il pubblico del centrale di New York, che non vedono un americano vincere il torneo di casa dal 2003 con Andy Roddick, non sono mai stati ammessi alla partita.

Ha vinto il più forte, da più forte, con il piglio del dominatore del circuito ormai da un anno, certamente in condominio con quell’altro fenomeno di Carlos Alcaraz, ma mostrandosi assai più continuo dello spagnolo, che pure ha trionfato al Roland Garros e a Wimbledon. Sull’Arthur Ashe Stadium si è esibito un fenomeno che sapeva di non poter perdere, mentre l’avversario è sempre stato consapevole di non poter vincere, pur restando sempre in partita, esaltandosi anche in alcuni passaggi del terzo set. Ma era solo una questione di tempo. Con il trionfo a Flushing Meadows, per Sinner nel 2024 ci sono due titoli dello Slam, due tornei Master 1000 (Miami e Cincinnati), altri due tornei vinti, un paio di semifinali nei Master 1000. Il suo vantaggio in classifica Atp sugli inseguitori è siderale, con la certezza quasi matematica di chiudere l’anno al numero uno. Ha mostrato una continuità ad alto livello impressionante, vincendo oltre 60 partite con sole cinque sconfitte, ha vinto almeno 22 partite stagionali nelle prove dello Slam. Come lui solo Federer, Nadal, Djokovic e Murray.

Jannik era in campo nella prima finale dello Slam dell’anno e pure nell’ultima. Il conto dei tornei centrati in carriera sale a 16. Il tutto, a 23 anni. Fin qui, i numeri, che sono essenziali, ma che non dicono tutto. Andando oltre le statistiche, c’è stata la spaventosa dimostrazione di forza mentale di un fuoriclasse che è uscito dalla nube nera del caso doping vincendo 12 partite in fila tra Cincinnati e New York, vincendo anche giocando male, anche balbettando, senza mai mollare di un centimetro neppure quando il sorriso era svanito dal suo volto, andando oltre voci, bisbigli, il rumore dei nemici e l’affetto di qualche amico.

di Nicola Sellitti

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