Lo smart working dopo Amazon
La sterzata di Amazon – che impone il rientro al lavoro in ufficio cinque giorni su cinque – coinvolge l’intero impianto dell’organizzazione del lavoro a livello mondiale
Lo smart working dopo Amazon
La sterzata di Amazon – che impone il rientro al lavoro in ufficio cinque giorni su cinque – coinvolge l’intero impianto dell’organizzazione del lavoro a livello mondiale
Lo smart working dopo Amazon
La sterzata di Amazon – che impone il rientro al lavoro in ufficio cinque giorni su cinque – coinvolge l’intero impianto dell’organizzazione del lavoro a livello mondiale
La sterzata di Amazon – che impone il rientro al lavoro in ufficio cinque giorni su cinque – coinvolge l’intero impianto dell’organizzazione del lavoro a livello mondiale
Il peso globale della decisione di Amazon di imporre il rientro al lavoro in ufficio cinque giorni su cinque è indiscutibile. Quando un protagonista assoluto della digital economy dà una sterzata di questo tipo è l’intero impianto dell’organizzazione del lavoro a livello mondiale a essere coinvolto. Il tema cruciale, non certo una novità dalla pandemia a oggi, è quello della produttività. Ad Amazon avranno fatto i loro calcoli, giungendo alla conclusione che un massiccio ricorso o anche solo il ricorso allo smart working è contrario agli interessi aziendali. Funerale dello smart working o, come avremmo dovuto sempre chiamarlo in modo più corretto, del remote working? Ovviamente no, perché il tema non sarà mai definito dall’intervento di un solo ceo, per quanto di un’azienda di straordinaria importanza.
La verità è che non si è ancora trovato un reale equilibrio fra il cruciale tema della produttività e le mutate esigenze dei lavoratori, in particolare quelli più giovani. Questi ultimi sono cresciuti in una realtà sociale dominata dalla riflessione sulla fine dell’ufficio e sul tramonto dell’organizzazione lavorativa come l’avevamo sempre conosciuta sino al traumatico 2020. È evidente che una totale retromarcia non sia nell’ordine delle cose, così come erano completamente campate in aria le teorie secondo cui interi grattacieli in giro per il mondo sarebbero stati svenduti al migliore offerente per sopraggiunta inutilità degli spazi. Un aspetto su cui vogliamo richiamare la vostra attenzione, piuttosto, è l’ulteriore approfondirsi del solco fra i lavoratori più formati e qualificati e chi – per scelta, minori opportunità e talento o scarsa voglia – vale meno sul mercato. Crudo da scrivere, ma è la realtà quotidiana del mondo del lavoro. Amazon può fare tutti gli annunci che vuole, ma è un fatto che nella grande caccia globale ai talenti il work life balance resterà un elemento dirimente. C’è anche una quota di rischio (calcolato), nella scelta del n. 1 dell’azienda di Seattle e possiamo immaginare quanto si stiano sfregando le mani in altri headquarter, programmando di strappare alla concorrenza chi non ha alcuna intenzione di recarsi in ufficio cinque giorni su cinque.
Questo, però, varrà sempre più per chi ha maggiore potere contrattuale e conseguente valore di mercato. I cosiddetti talenti, appunto. Il mercato del lavoro non è un ambiente per educande e davanti ai numeri (su cui vengono valutati e pagati) i management non stanno a farla troppo lunga. Mentre cerchiamo l’equilibrio magico, resta il fatto che lavorare tutti e sempre da casa ha del distopico. Non riusciremmo proprio ad augurarci una vita fra quattro mura, condannati a una sequenza infinita di videocall. Vale per i lavoratori di tutte le età, ma nel caso dei più giovani si aggiunge il rischio mortale di non crescere professionalmente.
Di Fulvio Giuliani
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