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Open Arms: Camps, ‘a bordo persone in condizioni disumane, attendiamo la sentenza’

18 Ottobre 2024

Palermo, 18 ott. (Adnkronos) – “Oggi la difesa ha fatto la sua ricostruzione, quello che noi di Open Arms abbiamo sempre ribadito, e che è stato oggetto della requisitoria dei PM nelle scorse udienze, è che a bordo dell’imbarcazione c’erano persone costrette in condizioni disumane. Persone vulnerabili, trattenute per 19 giorni nonostante la precarietà della loro situazione fisica e psicologica, oltre al fatto che già provenivano da un paese come la Libia dove avevano subito violenze e abusi”. Lo ha detto Oscar Camps, fondatore di Open Arms, dall’aula bunker della Casa Circondariale “Pagliarelli” di Palermo dove oggi si è tenuta la nuova udienza del Processo a carico di Matteo Salvini per il caso Open Arms.

“Questo è un processo unico nella sua specie: sono passati 5 anni dalla missione 65 di Open Arms, condotta nell’agosto del 2019, e ne sono passati 3 dall’inizio del processo a carico di Matteo Salvini. Per ristabilire la verità su quanto accaduto durante la missione 65, per chiedere il rispetto dei diritti delle 147 persone che per 19 giorni non sono state fatte sbarcare contraddicendo la legge del mare, noi di Open Arms abbiamo voluto costituirci parte civile e affrontare quasi 30 udienze perché riteniamo che noi, come le persone a bordo, abbiamo subito un danno. Ora attendiamo attendiamo la sentenza che si terrà il 20 dicembre”, dice.

Camps ha poi concluso: “A dimostrazione di come troppo spesso si agisce in modo emotivo e non scientifico, come questo argomento richiederebbe, è una notizia di pochi minuti le ultime decisioni relative alla gestione degli ingressi in Italia tramite l’Albania. Data la procedura utilizzata viene quindi da chiedersi se sia stato davvero garantito il diritto alla difesa. Queste politiche vanno contro i diritti umani e, come testimonia la notizia di questa mattina del Tribunale di Roma sul caso Albania, anche contro i diritti di difesa, portando all’impossibilità per i difensori di interfacciarsi con i richiedenti di protezione internazionale nonché alle connesse difficoltà ad acquisire procure per proporre i ricorsi verso i provvedimenti di respingimento e di diniego della protezione internazionale che identificano i richiedenti asilo prima della domanda. Tutto ciò porta a uno spreco di denaro pubblico, allunga i tempi, ma soprattutto causa inutili e lunghissime sofferenze alle persone coinvolte”.

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