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Folle cancellare Beethoven

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Folle cancellare Beethoven

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A Taiwan un camioncino dei rifiuti suona “Per Elisa” di Ludwig van Beethoven per avvisare i cittadini di portare giù la pattumiera. Già, la musica di Beethoven per la nettezza urbana! Anche se molti si divertono a darla per morta o morente, la musica classica è viva e lotta in mezzo a noi. I teatri ne sono fortunatamente ancora pieni, seppur indubbiamente meno di prima, i film ne dipendono e il suo fascino fa sempre breccia fra i giovani per amore d’ascolto o perché decidono di abbracciare il suono di uno strumento per tutta la vita. Non si capisce bene come mai negli Stati Uniti qualcuno abbia invece iniziato una vera e propria battaglia, quanto mai assurda e al limite del ridicolo, proprio contro la musica di Beethoven – sacra di fatto, più che di contenuto – in quanto «simbolo di esclusione ed elitismo». Sì, proprio quel Ludwig dell’“Inno alla gioia”, manifesto di fratellanza fra gli uomini. Galeotto è stato un podcast in cui Nate Sloan e Charlie Harding – il primo musicologo, il secondo giornalista musicale e polistrumentista – addossano alla complessità d’ascolto della musica del compositore e alla sua serietà la causa di un certo elitarismo che ancora oggi pervade l’ambiente della musica classica. Secondo loro l’atteggiamento supponente di certi appassionati del genere, alcune regole imposte in sala come il dress code o il silenzio assoluto, sarebbero tutte conseguenze della musica di Beethoven. I due sono arrivati perfino a puntare il dito verso un’opera ben precisa del compositore che avrebbe dato il via a queste discriminazioni: “La Sinfonia n. 5”. Quest’ultima, per via della complessità del linguaggio e della struttura, esigendo un ascolto più attento rispetto ad altre opere con atti e tematiche più lineari e leggere (come alcune partiture di Mozart, per esempio), avrebbe imposto nuovi standard nell’organizzazione dei concerti. Secondo i due podcaster nuove norme di comportamento come “Non tossire”, “Non applaudire” e “Vestiti in modo appropriato” sarebbero nate proprio con la musica del compositore noto per la sua sordità. Richieste come queste potevano insomma creare un divario di usi e costumi tra chi certi luoghi li frequentava e chi no. Un po’ come a dire: se sai come ci si comporta in una sala da concerto allora puoi unirti a noi, altrimenti no. Ragion per cui – sempre secondo i due comunicatori – la musica del genio tedesco, presa dagli uomini bianchi ricchi come simbolo della loro superiorità (su quali basi non è dato sapere), potrebbe ora essere utilizzata da chi è vittima di discriminazioni come emblema di quanto subìto. Se già tutto questo non fosse abbastanza, la conclusione del podcast supera ogni possibile confine arrivando a chiedere agli ascoltatori di fare un passo oltre la musica di Beethoven, «ascoltando giovani compositori contemporanei… o se proprio proprio, arrangiandola ex novo». In pratica un invito a censurare Beethoven. Per capire quanto l’accusa abbia poco senso – a voler essere gentili – basterebbe ragionare sul fatto che si basa sulla supponenza di poter dare per certo un messaggio di fondo di un’opera musicale rigorosamente ex post, senza che questo sia univoco o esplicitato, anteponendo le supposte conseguenze da esso generate non solo al valore dell’opera stessa ma all’intera produzione di un genio. Una follia.   Di Federico Arduini

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