Fine della triplice e crisi di rappresentanza
Ad oggi la storica “triplice” Cgil-Cisl-Uil non ha più senso. A testimoniarlo il prossimo sciopero che si terrà il 29 novembre contro la manovra del governo Meloni. Le cause della crisi di rappresentanza del sindacato
Fine della triplice e crisi di rappresentanza
Ad oggi la storica “triplice” Cgil-Cisl-Uil non ha più senso. A testimoniarlo il prossimo sciopero che si terrà il 29 novembre contro la manovra del governo Meloni. Le cause della crisi di rappresentanza del sindacato
Fine della triplice e crisi di rappresentanza
Ad oggi la storica “triplice” Cgil-Cisl-Uil non ha più senso. A testimoniarlo il prossimo sciopero che si terrà il 29 novembre contro la manovra del governo Meloni. Le cause della crisi di rappresentanza del sindacato
Ad oggi la storica “triplice” Cgil-Cisl-Uil non ha più senso. A testimoniarlo il prossimo sciopero che si terrà il 29 novembre contro la manovra del governo Meloni. Le cause della crisi di rappresentanza del sindacato
Ha ancora un senso la storica ‘triplice’ Cgil-Cisl-Uil? No. Dopo decenni di rapporto unitario – la Federazione Cgil-Cisl-Uil nacque ufficialmente il 3 luglio 1972 – la rottura fra Cgil e Uil da una parte e Cisl dall’altra è sotto gli occhi tutti, da ultimo testimoniata dallo sciopero generale del 29 novembre contro la manovra del governo Meloni proclamato dai sindacati di Landini e Bombardieri ma non da quello di Sbarra, il segretario che ha portato la Cisl su posizioni di centrodestra. Si tratta di una rottura storica, non di un dissenso momentaneo. Luigi Sbarra ha portato a compimento quello che in nuce già si vedeva nella Cisl di Annamaria Furlan e in parte in quella di Raffaele Bonanni (diventato leader nel 2006, stiamo dunque parlando di un processo lungo quasi vent’anni), rafforzando la caratteristica di un sindacato molto legato alle dinamiche del potere, a partire da quello aziendale e territoriale per finire, come detto, alla ‘amicizia’ con il governo Meloni: una dinamica speculare a quella della Cgil di Maurizio Landini che ha portato il sindacato di Corso d’Italia su posizioni anch’esse molto ‘politiche’, di traino della sinistra, abbandonando l’ispirazione nazionale e riformista di Luciano Lama, in parte di Bruno Trentin e per molti aspetti presente nell’impostazione iniziale di Sergio Cofferati, prima di quando questi si mise in testa di guidare la sinistra antiberlusconiana. Fra la doppia involuzione di Cisl e Cgil – involuzione nel senso che ha trasformato i sindacati in soggetti politici – c’è stata poi la progressiva perdita di identità della Uil, che oggi è diventata essenzialmente una costola della Cgil (ma perché non si fondono? Forse per ragioni economiche?).
Tutto questo a mio giudizio è fra le cause della perdurante crisi di rappresentanza del sindacato, divenuto per lo più punto di riferimento di una fascia di garantiti e di pensionati ma lontanissimo dal mondo reale fatto di lavoro precario soprattutto giovanile. Un sindacato corporativo e chiuso. Siamo dunque davanti a una mutazione sostanziale di un pezzo importante della realtà italiana, che per mezzo secolo ha visto nel sindacato unitario uno strumento fondamentale non soltanto per la difesa dei diritti dei lavoratori ma anche per la tenuta dello Stato democratico nella lotta al terrorismo e, nei suoi momenti migliori, per la difesa della nostra economia dal rischio di un vero e proprio collasso a metà degli anni Settanta e all’inizio di quelli Novanta. Oggi i tre sindacati – di cui uno, ripetiamo, filogovernativo – sono macchine
prive di idee a tutela di interessi tutto sommato non centrali. Ognuno lavora per sé.
Dell’unità sindacale non interessa più nulla a nessuno. Povero Luciano Lama: nel giorno della costituita Federazione unitaria disse che «la Federazione si colloca come un ponte verso l’unità organica, è il mezzo per raggiungerla nei tempi più brevi possibili». Sono passati 52 anni e l’obiettivo è fallito.
Di Mario Lavia
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