Adeguare la democrazia al mercato del presente, parla Moisés Naím
Moisés Naím, direttore della rivista “Foreign Policy” dal 1996 al 2010, premio Ortega y Gasset, direttore esecutivo della Banca mondiale e considerato fra i 100 pensatori più influenti al mondo
Adeguare la democrazia al mercato del presente, parla Moisés Naím
Moisés Naím, direttore della rivista “Foreign Policy” dal 1996 al 2010, premio Ortega y Gasset, direttore esecutivo della Banca mondiale e considerato fra i 100 pensatori più influenti al mondo
Adeguare la democrazia al mercato del presente, parla Moisés Naím
Moisés Naím, direttore della rivista “Foreign Policy” dal 1996 al 2010, premio Ortega y Gasset, direttore esecutivo della Banca mondiale e considerato fra i 100 pensatori più influenti al mondo
Moisés Naím, direttore della rivista “Foreign Policy” dal 1996 al 2010, premio Ortega y Gasset, direttore esecutivo della Banca mondiale e considerato fra i 100 pensatori più influenti al mondo
Direttore della rivista “Foreign Policy” dal 1996 al 2010, premio Ortega y Gasset, direttore esecutivo della Banca mondiale e considerato fra i 100 pensatori più influenti al mondo, nel suo libro del 2013 “La fine del potere” Moisés Naím spiegò come, a causa della crescente complessità dei problemi da risolvere, per i politici stava diventando sempre più difficile riuscire a incidere. Nel 2022, nell’altro suo libro “La rivincita del potere”, spiegò però come per la conseguente frustrazione gli elettori stavano dando sempre più spesso fiducia a uomini forti che promettono di fare, ma poi minacciano di distruggere anche le democrazie più mature a colpi di «3 P»: populismo, polarizzazione, post-verità.
Gli chiediamo se la nuova vittoria di Trump fosse prevedibile o sia stata invece una sorpresa. «In realtà nessuno se l’aspettava in questi termini» ammette. «Si sapeva che Trump avrebbe potuto vincere, ma non con una ondata di consensi in tutti gli Stati che gli hanno dato il controllo completo della Casa Bianca, del Senato, della Camera dei Rappresentanti e delle legislature locali. Che questa grande vittoria non sia stata prevista da nessuno è molto interessante, poiché si è trattato della campagna elettorale in cui maggiore è stato il denaro dedicato all’analisi degli elettori, dell’elettorato, delle loro motivazioni, del loro passato, dei loro interessi. E mai si era così catastroficamente sbagliato il risultato finale».
Per Naím le cause di quest’ultimo sono molte e varie, «ma chiaramente le questioni centrali che hanno portato Trump alla Casa Bianca sono state l’inflazione e il contenimento dell’immigrazione clandestina». Eppure a votare in maggioranza per Trump sono stati anche i latinoamericani… «Esatto, perché la categoria del latino non è coerente. I latini di origine messicana che lavorano nel Nuovo Messico, in California e in Texas hanno poco in comune con i cubani, colombiani e venezuelani che sono in Florida». Trump è considerato contrario alle misure sulla transizione energetica, ma il suo grande elettore Elon Musk è un grande produttore di auto elettriche. Con lui alla Casa Bianca s’immagina un ritorno all’isolazionismo e un abbandono dell’Ucraina, ma molti latini lo hanno votato pensando che invece sarà durissimo contro i regimi di Cuba, Venezuela o Nicaragua. «È in realtà ancora troppo presto per sapere cosa farà effettivamente Trump. Abbiamo le dichiarazioni e le promesse della campagna elettorale, ma abbiamo anche la realtà mondiale, che imporrà a questo governo di impegnarsi su molte questioni urgenti».
Massima incertezza in un momento di caos globale, quindi. «In realtà alcune certezze le abbiamo. Sappiamo che Trump ha vinto e domina completamente la macchina degli Stati Uniti d’America a un livello di concentrazione del potere che non avevamo mai avuto prima. Sappiamo che Trump metterà attivisti che spesso hanno idee radicali nelle posizioni più importanti del suo governo. Ad esempio, sulla burocrazia civile ha appena nominato una commissione presieduta da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, che vogliono ridurne drasticamente la portata, le dimensioni e l’importanza».
Viene da chiedersi se esista il pericolo di una dittatura o se alla fine il sistema costituzionale degli Stati Uniti si rivelerà sufficientemente robusto. «Sicuramente nei prossimi quattro anni assisteremo a un test molto importante delle forze, organizzazioni, leggi e norme che regolano il controllo del potere del governo». La Costituzione nordamericana è stata il modello di tutte le odierne costituzioni liberali e democratiche. Possibile che dal Settecento a oggi sia invecchiata? Per Moisés Naím «il problema degli Stati Uniti non è tanto nella Costituzione, quanto in norme molto specifiche che possono creare problemi. Per esempio una di queste è che il denaro sia di fatto una maniera di esprimersi e che ci sia libertà di espressione. Così son nati i grandi Political Action Committees (Pacs), che raccolgono miliardi di dollari per intervenire in politica. Ovviamente il meccanismo dovrebbe essere corretto e adattato. Ciò di cui gli Stati Uniti hanno bisogno non è buttar via la Costituzione che c’è, ma aggiornarla alla realtà della democrazia, della politica e del capitalismo del Ventunesimo secolo».
di Maurizio Stefanini
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Tag: economia, intervista
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