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XI Trump

Xi dice no a Trump e abbraccia Mosca 

Il presidente cinese Xi Jinping ha declinato l’invito di Donald Trump a partecipare alla cerimonia di insediamento, da presidente

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Xi dice no a Trump e abbraccia Mosca 

Il presidente cinese Xi Jinping ha declinato l’invito di Donald Trump a partecipare alla cerimonia di insediamento, da presidente

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Xi dice no a Trump e abbraccia Mosca 

Il presidente cinese Xi Jinping ha declinato l’invito di Donald Trump a partecipare alla cerimonia di insediamento, da presidente

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Il presidente cinese Xi Jinping ha declinato l’invito di Donald Trump a partecipare alla cerimonia di insediamento, da presidente

Il presidente cinese Xi Jinping ha declinato l’invito di Donald Trump a partecipare alla cerimonia di insediamento, da presidente, a Washington il 20 gennaio prossimo. La notizia che il presidente cinese non ci sarà è stata data dalla Cnn che ha citato sue fonti informate, aggiungendo che al posto di Xi sarà presente «una delegazione di alti funzionari cinesi». Per Donald Trump si tratta del primo smacco politico dopo la vittoria trionfale nelle presidenziali di novembre. Le sue posizioni rigide rispetto a Pechino – a cominciare da quelle sull’economia e sui dazi – non hanno certamente aiutato, anche se in questo caso il vero enigma politico più che Trump riguarda il leader cinese Xi Jinping.

Andare a Washington per l’insediamento del successore di Joe Biden avrebbe infatti rappresentato un gran segnale diplomatico e di disponibilità a discutere, da avversari, dei vari temi in campo che dividono Pechino e gli Stati Uniti, temi in cui rientra anche la guerra russa in Ucraina. Ed è qui, arrivando al conflitto che da oltre due anni e mezzo insanguina l’Europa, che l’enigma cinese si fa ancor più difficile da decrittare. Cosa vuole Pechino? Che ambizioni ha? Punta a una pace possibile o ritiene che la guerra in Ucraina sia utile per distrarre l’Occidente dall’Indo-Pacifico e dalle mire del Dragone su Taiwan? Domande dirimenti, dalle cui risposte dipendono i rapporti e le relazioni fra la Cina da una parte e gli Usa e l’Unione europea dall’altra.

Certo, guardando alla visita in Cina di questi giorni di Dmitry Medvedev, vice presidente del Consiglio di sicurezza russo, non c’è da star granché tranquilli. Medvedev ha incontrato Xi Jinping, il quale ha ribadito al politico russo che Cina e Russia dovrebbero rafforzare ulteriormente il coordinamento, la cooperazione e promuovere lo sviluppo globale nella «giusta direzione». Xi ha pure fatto notare a Medvedev (uno dei falchi più spinti rispetto alla guerra in Ucraina della nomenclatura di Putin) come le relazioni bilaterali fra i due Paesi si siano sviluppate all’insegna del «mutuo rispetto, della coesistenza pacifica e della cooperazione vantaggiosa per tutti», sollecitando a questo proposito la Russia a un ulteriore e maggiore coordinamento con Pechino a livello dei Brics, delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco).

Xi Jinping nel suo incontro con Medvedev ha toccato anche il tema della guerra in Ucraina spiegando che continuerà «a lavorare con la comunità internazionale per creare condizioni favorevoli a una soluzione politica della crisi» e ribadendo che la Cina, dal canto suo e per il suo ruolo internazionale, ha «ripetutamente sottolineato la necessità di aderire a tre princìpi», ovvero impedire l’allargamento del campo di battaglia, scongiurare l’escalation e non gettare ulteriore benzina sul fuoco. Si tratta, a voler essere realisti, di tre princìpi teorici che nulla nella pratica quotidiana della guerra hanno inciso. Una posizione a parole, quella di Xi Jinping, che nella sostanza dei fatti si manifesta invece come il sostegno di Pechino a Mosca.

Ed è qui che il rovello della sfinge cinese si fa ancora più inquietante: cosa passa per la testa del suo leader Xi e della sua classe dirigente riguardo alla geopolitica internazionale? La volontà di alzare le tensioni o di ridurle? Il no all’invito rivolto da Trump a Xi è una prima risposta che non promette nulla di buono.

di Massimiliano Lenzi

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