Una vita per l’Egitto, parla l’archeologo Zahi Hawass
Le parole di Zahi Hawass celebre volto dell’egittologia mondiale da almeno 30 anni, è entrato nelle case di milioni di persone con i suoi documentari sull’Antico Egitto
Una vita per l’Egitto, parla l’archeologo Zahi Hawass
Le parole di Zahi Hawass celebre volto dell’egittologia mondiale da almeno 30 anni, è entrato nelle case di milioni di persone con i suoi documentari sull’Antico Egitto
Una vita per l’Egitto, parla l’archeologo Zahi Hawass
Le parole di Zahi Hawass celebre volto dell’egittologia mondiale da almeno 30 anni, è entrato nelle case di milioni di persone con i suoi documentari sull’Antico Egitto
Le parole di Zahi Hawass celebre volto dell’egittologia mondiale da almeno 30 anni, è entrato nelle case di milioni di persone con i suoi documentari sull’Antico Egitto
Ha 77 anni Zahi Hawass, ma l’energia non gli manca. Non è un caso che nel mondo sia noto come un vero Indiana Jones, complice anche il suo solito cappello a falde larghe e la camicia di jeans dal sapore avventuriero. Volto dell’egittologia mondiale da almeno 30 anni, è entrato nelle case di milioni di persone con i suoi documentari sull’Antico Egitto. Ma nella vita, prima che divulgatore, è stato ministro delle Antichità e soprattutto archeologo. E ancora oggi lo è.
«Abbiamo annunciato una grande scoperta a Luxor: il primo monumento reale trovato in zona dopo l’apertura della tomba di Tutankhamon nel 1922» ci racconta dal suo studio a Il Cairo. Il suo team, dopo tre anni di scavo, ha infatti rinvenuto 1.500 blocchi intatti provenienti dal tempio di valle di Hatshepsut, dedicato a una delle poche donne-faraone nella storia d’Egitto. Finora era sconosciuto. «Sono decorati con magnifiche scene, riportano i nomi di Hatshepsut e del suo figliastro e successore Thutmose III. Ci aiutano a riscrivere la storia» spiega Hawass.
Per decenni si era infatti pensato che Thutmose avesse cancellato dalla storia la matrigna, furioso per essersi visto scavalcare da una donna sul trono quando era soltanto un bambino. Alcuni sostenevano addirittura che l’avesse uccisa, ma il nuovo tempio racconta un’altra storia: «Dai geroglifici si evince che, una volta salito al trono, il ragazzo restaurò e curò l’edificio continuando a venerare la regina». A cancellarne la memoria sarebbero stati, secondo Hawass, gli egiziani stessi: inaccettabile, per loro, che il faraone non fosse un uomo. A raccontarlo oggi fa riflettere: non siamo cambiati poi così tanto.
Ma Zahi Hawass non si ferma. Tra le tante scoperte ce n’è una che lo accende: «Abbiamo rinvenuto una stele di un certo Djehuty-mes, direttore del palazzo della regina Tetisheri. Vi dico in anteprima che è dedicata al suo amico Nakhtmin, comandante dei carri dell’esercito del faraone». Perché è così importante? Perché segnala che nella zona, spianata all’epoca di Hatshepsut per costruire il suo tempio, sono sepolti membri delle corti degli ultimi sovrani della XVII dinastia. Quelli che, attorno al 1550 a.C., scacciarono dall’Egitto gli invasori asiatici Hyksos e diedero vita all’età dell’oro, il Nuovo Regno. «Nei prossimi mesi cercherò le tombe di quei tre re, la cui collocazione è ignota anche se le mummie sono già state trovate: Seqenenra Tao, Kamose e Ahmose» ci confida in anteprima assoluta.
Parla con la sicurezza di chi è abituato a stare davanti a una telecamera. Proprio la sua presenza sui media, negli anni, gli ha attirato non poche critiche. «Non mi interessano i miei colleghi che rincorrono sempre le televisioni, io invece non ho mai chiesto una singola intervista: solo gli altri a cercarmi» ci dice sorridendo. «Ma io vado avanti come un treno: corro e lavoro, non mi guardo indietro. E se ammassassi i libri che ho pubblicato, avrei la pila più alta fra tutti quelli che mi attaccano».
Ora vuole concentrarsi sul lavoro, sul tour di presentazione della sua autobiografia “L’uomo con il cappello” che lo porterà anche in Italia a settembre. E il suo lavoro, precisa, non è soltanto la riscoperta di reperti dimenticati: «Sto curando una petizione che ha già raccolto 300mila firme. Arrivato a un milione renderò miserabile la vita del British Museum, del Louvre e del Neues Museum di Berlino. Ci devono restituire i tre grandi reperti sottratti illegalmente: la Stele di Rosetta, lo Zodiaco di Dendera e il busto di Nefertiti». Niente paura – ci tiene a sottolineare – per il nostro Museo Egizio di Torino: a lui interessano le opere rubate, non tutti gli oggetti portati all’estero.
«Non potete immaginare quanti segreti si celino sotto le sabbie dell’Egitto» confida. Stima che fino a oggi sia stato scoperto soltanto il 30% dei monumenti sopravvissuti ai millenni. E lui, che dice di essere molto fortunato, vuole trovarne ancora: «Individuerò le tombe dei tre re, ne sono certo». Quando ci dirà se ha scoperto qualcosa di nuovo? «Presto, molto presto. E saranno notizie belle grosse». Non vuole anticiparci quali. Anche in questo sta l’eterno fascino dell’egittologia: il fare misterioso dei suoi protagonisti.
di Umberto Cascone
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