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Grazie al riscaldamento globale berremo vino scandinavo

Dopo una tradizione millenaria radicata nel bacino del Mediterraneo, il nostro vino potrebbe cercare casa verso nuove latitudini

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Grazie al riscaldamento globale berremo vino scandinavo

Dopo una tradizione millenaria radicata nel bacino del Mediterraneo, il nostro vino potrebbe cercare casa verso nuove latitudini

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Grazie al riscaldamento globale berremo vino scandinavo

Dopo una tradizione millenaria radicata nel bacino del Mediterraneo, il nostro vino potrebbe cercare casa verso nuove latitudini

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Dopo una tradizione millenaria radicata nel bacino del Mediterraneo, il nostro vino potrebbe cercare casa verso nuove latitudini

Il clima cambia e con esso anche la mappa dei vini del mondo. Così, dopo una tradizione millenaria radicata nel bacino del Mediterraneo, i nostri vigneti potrebbero essere destinati a cercare casa verso nuove latitudini. Secondo una ricerca pubblicata su “Nature”, entro i prossimi 70 anni molte viticolture pianteranno nuove radici a Nord. Nel 2100 Svezia e Danimarca potrebbero essere tra i maggiori produttori di Chardonnay.

Sotto accusa è il riscaldamento globale che sta influenzando notevolmente la resa dell’uva nonché la composizione e la qualità del vino. Basti pensare che circa il 90% delle regioni vitivinicole tradizionali – come Francia, Italia e California – si trova a medie latitudini. Dove fino a non molto tempo fa le condizioni climatiche erano considerate ottimali. Il climate change sta però imponendo nuovi standard. Proprio in Italia (secondo Paese produttore al mondo) il 50-70% delle attuali aree vinicole potrebbe diventare inospitale entro la fine del secolo.

Il clima ideale per permettere la maturazione dell’uva dovrebbe essere abbastanza caldo e secco, ma senza eccessivi periodi di siccità. E invece dal 1980 ai giorni nostri il 70% delle annate ha registrato livelli di piovosità inferiori alla media, con perdite fino al 40-60%. Queste regioni ora subiscono frequenti ondate di calore intenso e siccità, inframezzate da fenomeni metereologici estremi (come grandinate e allagamenti). Che impattano sui costi e sulla reddittività delle coltivazioni. Trattasi di condizioni anomale che vanno a corrodere la fenologia della pianta, ovvero le fasi principali del suo ciclo di crescita, accorciando notevolmente il periodo di maturazione dell’uva.

Negli ultimi 40 anni la vendemmia è arrivata con 2-3 settimane di anticipo. Per ritardarla il più possibile gli agricoltori hanno cercato di mettere in atto le strategie più disparate. Le vendemmie prima del tempo non permettono tra l’altro lo sviluppo di alcuni degli elementi aromatici caratteristici dei vini, che solitamente vengono loro conferiti dall’uva matura. Non solo: le ondate di calore inficiano il controllo della gradazione dei vini. Il caldo rende infatti l’uva più zuccherina e ne incrementa il grado alcolico.

Un’altra conseguenza di questa migrazione di massa consiste nella modifica permanente del sapore di molte varietà di vino. È il caso del Pinot Nero, che dalla Borgogna sta traslocando in Germania dove il nuovo suolo gli conferisce un sapore diverso da quello tradizionale. La chiave risiede nel terroir, un termine francese che indica l’insieme di fattori ambientali e climatici unici che determinano la composizione chimica – e quindi il sapore – di un determinato vino. Nascono così nuovi aromi e nuove opportunità. Soprattutto per quelle varietà che oggi vengono selezionate appositamente per la loro resistenza al calore, come il Touriga Nacional e l’Alvarinho, provenienti dal Portogallo.

Come se non bastasse, le abitudini dei consumatori stanno cambiando. I vini rossi oggi raggiungono i 15 gradi e in Francia, primo Paese produttore al mondo, si è riscontrata una crescente disaffezione nei confronti dei vini a elevato contenuto alcolico. Un trend che presto potrebbe coinvolgere anche il Bel Paese, senza contare l’ingresso sul mercato dei vini analcolici, che nel 2024 hanno visto Oltralpe un incremento delle vendite pari al 10%. Prova che, anche se da un lato questi mutamenti possono spaventare, in realtà offrono la possibilità di sperimentare nuovi orizzonti enologici.

La sfida dei prossimi decenni sarà quella di adattarsi per preservare l’eredità di un settore che è parte integrante della nostra cultura e della nostra economia.

Di Angelo Annese

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