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Gli Usa e noi, il divorzio impensabile
Per diverse generazioni vi è stato forte ancoraggio agli americani, ma dalla presidenza Trump II pervade un senso di straniamento
Gli Usa e noi, il divorzio impensabile
Per diverse generazioni vi è stato forte ancoraggio agli americani, ma dalla presidenza Trump II pervade un senso di straniamento
Gli Usa e noi, il divorzio impensabile
Per diverse generazioni vi è stato forte ancoraggio agli americani, ma dalla presidenza Trump II pervade un senso di straniamento
Per diverse generazioni vi è stato forte ancoraggio agli americani, ma dalla presidenza Trump II pervade un senso di straniamento
Il senso di totale straniamento seguito alle prime settimane (sembrano anni…) della presidenza Trump II ha radici profonde, nella testa e nel cuore di ciascuno di noi.
Possiamo pensarla nei modi più diversi, si possono vedere tante cose nella società americana, nelle sue eterne contraddizioni, ma gli Usa sono stati sempre lì. Tre-quattro generazioni nelle quali l’ancoraggio agli americani era un dato di fatto incontrovertibile. A volte e per paradosso ancor più fra i tanti che gli yankee non li hanno mai sopportati, contrastandoli politicamente in tutti modi. A parole.
Oggi che si fa concreto l’impensabile, vale a dire lo smarcamento degli Stati Uniti dal ruolo di garanti della nostra sicurezza e in definitiva del nostro posto nel mondo (lo ha detto anche Draghi), ci scopriamo nudi.
Senza arrivare alle «vite di sponda» cantate negli anni Ottanta a Sanremo da Eugenio Finardi, cosa dire del gigantesco influsso sulla nostra società e sulla vita di tutti i giorni di costumi, abitudini, mode che fanno lasostanza dell’universo Usa visto da noi? Chiunque scavi anche superficialmente nella propria memoria farà i conti con una serie infinita di riferimenti culturali – non solo genericamente pop – che hanno definito i confini della nostra realtà. In termini personali e collettivi.
Nel momento in cui per la prima volta dagli anni della Depressione chi comanda in America sembra dirci «Arrangiatevi, voi europei non siete né una priorità né una preoccupazione» a mancare saranno pure gli Usa di JFK per chi c’era o quella di Clinton, dei Bush o di Obama dei nostri anni ma molto più quella di “Happy Days”, Hollywood, Netflix, Apple, Jimi Hendrix, Eagles e persino indiani e cowboy. Robert De Niro (non a caso ferocemente anti trumpiano), che si guarda allo specchio in “Taxi Driver” e recita contro sé stesso, sembra noi al risveglio in questi giorni cupi: ci guardiamo e stentiamo a riconoscerci in un mondo improvvisamente de-americanizzato.
Poi non andrà così, c’è motivo di ritenerlo e soprattutto sperarlo, ma guai a sottovalutare la portata di una rivoluzione sentimentale come quella che minaccia di essere la presidenza di Donald Trump. Questo vale anche per loro, perché raramente i divorzi sono dolorosi solo per una parte. Vedremo.
Poche ore fa ci è capitato di riascoltare su Instagram un discorso del senatore repubblicano John McCain – l’uomo che fu sconfitto da Obama nelle elezioni del 2008 – sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo, sul loro obbligo morale a non isolarsi e dimenticare chi siano gli alleati e gli amici. Un intervento intriso di senso dell’onore e del ruolo storico degli Usa dopo il secondo conflitto mondiale. Parole lunari nel contenuto e nella forma, nel contesto di oggi, ma non può essere sparito tutto di botto, mentre Bruce Springsteen continuerà a valere mille Kid Rock.
Di Fulvio Giuliani
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