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Romina Falconi: “Volevo raccontare la magia delle cose semplici”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Romina Falconi sul nuovo singolo “Ti saluta questo canto”
Romina Falconi: “Volevo raccontare la magia delle cose semplici”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Romina Falconi sul nuovo singolo “Ti saluta questo canto”
Romina Falconi: “Volevo raccontare la magia delle cose semplici”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Romina Falconi sul nuovo singolo “Ti saluta questo canto”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Romina Falconi sul nuovo singolo “Ti saluta questo canto”
Ormai Sanremo 2025 è alle spalle e chi l’ha seguito l’avrà probabilmente fatto con un proprio rito. “Ti saluta questo canto”, ultimo singolo di Romina Falconi racconta, tra ironia e tenerezza, la storia di un amore casalingo in vestaglia e calzini proprio durante la visione del Festival di Sanremo. Romina non la scopriamo di certo oggi, cantautrice dallo stile unico e divertente, capace tra le righe di arrivare a una profondità tutt’altro che comune e una sincerità a tratti spiazzante. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lei per sapere come è nato questo brano e qualche curiosità in più
Com’è nata “Ti saluta questo canto”?
Avevo appena finito di scrivere l’album, un percorso davvero tosto ma anche felice. È stato bello creare emozioni musicali con i produttori, fare ricerca sui suoni. Per alcune canzoni volevo sperimentare qualcosa di diverso.
Si tratta di un concept album, uscirà in primavera ed è una sorta di galleria di peccatori, un viaggio tra il sacro e il profano, tra il ridere e il piangere. È stato un lavorone enorme. E come faccio sempre, perché sono un po’ ossessiva-compulsiva, mi sono ritrovata a scrivere centinaia di melodie per un album di 12-13 tracce. Volevo che tutto fosse perfetto.
A un certo punto, però, avevo questa melodia a cui tenevo tantissimo, ma che non c’entrava con il resto del disco. Avevo già esplorato tutte le ombre che volevo raccontare. Così mi è venuta l’idea di aprire una parentesi più leggera, quasi come una boccata d’aria prima della chiusura del cerchio del concept album. E ho pensato di giocare con un tema di cui si parla poco nelle canzoni: Sanremo.
Sanremo è una cosa importantissima per noi: è il festival musicale più longevo che abbiamo, esiste dai tempi dei nostri nonni. Ma sembra quasi che se sei un cantautore, puoi parlarne solo se sei dentro Sanremo, nelle sue varie fasi. Invece mi piaceva l’idea di rendergli omaggio, di nominarlo al posto di un Mondiale di calcio, perché in fondo fa parte della nostra cultura popolare. Chi lo segue e chi no, alla fine ne è sempre informato, anche solo dai social, dai video, dai meme.
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Le canzoni le sentiamo alla radio, nelle playlist… alla fine tutti siamo coinvolti. E mi divertiva l’idea di raccontare tutto con un romanticismo un po’ goffo, ma anche poetico. Quel momento in cui torni a casa dopo una giornata difficile e ti reinventi usando la fantasia. È una cosa che faccio da quando sono ragazzina, e probabilmente continuerò a farlo anche al centro anziani! Cantare a squarciagola sotto la doccia, giocare a essere Dio…
Mi piaceva unire questo clima leggero all’idea di non prendersi sempre troppo sul serio. Mi sembrava bello anche sparigliare un po’ le carte, anziché “congelarmi” fino alla primavera, come Walt Disney!
Sono molto contenta del risultato, anche perché con i produttori Leonardo Carminati e Niccolò Savinelli —che mi hanno accompagnato anche per il disco — amiamo sperimentare. Non vogliamo mai fare la stessa cosa due volte: ogni traccia ha un arrangiamento diverso, un nuovo mondo da esplorare. È estremamente stimolante, non solo da ascoltare, ma anche da creare.
Una delle caratteristiche del tuo scrivere è quello di riuscire a donare all’ascoltatore delle immagini che compongo quasi un film. Non è una cosa semplice da fare…
Ho passato tantissimo tempo da sola e ho lavorato molto anche su questo. Perché è importante saper stare con sé stessi, no? Però adesso sono in cui sono innamorata e ricambiata. Mi sono sempre vista come un’isola, ma devo dire che mi piace.
Poi, non sono una romantica brava, anzi, faccio proprio schifo nel romanticismo! Quando vedo le grandi dichiarazioni d’amore in stile Instagram, tipo proposte di matrimonio alle Maldive, penso: “Ah vabbè, lì so bona pure io!” (ride). I momenti più romantici della mia vita, quelli che ricordo con più tenerezza, sono tutt’altro. Il primo “ti amo” che ho ricevuto, per esempio, è arrivato mentre stavamo stappando il lavandino della cucina e si stava allagando tutto! I miei amici mi dicono: “Ma che momento romantico è?”. E invece per me è stato bellissimo, perché in mezzo al caos lui mi ha detto: “Amore, ti ho portato a Venezia: oggi abbiamo allagato tutta la cucina. Ma sai che io ti amo?” E quella roba lì, per me, non ha prezzo.
Ci sono storie che, a prima vista, non sembrano da film romantico, ma nella testa di chi le vive valgono più di qualsiasi dichiarazione sotto la Torre Eiffel.
Ecco, siccome io vado in controtendenza rispetto a questo romanticismo classico — e forse anche un po’ per invidia, perché non sono mai riuscita a essere quella da film muto con Rodolfo Valentino — mi piaceva giocare con questa idea in una canzone. Non è che una coppia deve vivere come Rambo per essere una bella coppia. La bellezza sta nella complicità, nel mettersi il pigiama e la vestaglia dopo una giornata schifosa e trovare il modo di reinventarsi. Perché tutti noi abbiamo giornate che fanno schifo!
Volevo raccontare questa magia nelle cose più semplici. Quando eravamo bambini, avevamo un’immaginazione enorme. Nella canzone dico: voglio rompere i tuoi orologi per prendere tempo. È un’immagine infantile, ma immensa. Perché i bambini hanno una fantasia che da grandi, purtroppo, perdiamo.
E volevo proprio mettere questa magia nella scena più banale: stare a casa davanti a una tisana e un brodino, e chiedersi “che facciamo adesso?”. Perché se in quel momento sei felice, se sei appagato lì, allora tutto il resto è un di più. Se poi vai pure alle Maldive, meglio ancora! Ma non è quello il punto.
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Che rapporto hai con le tue canzoni?
Per quanto mi piaccia rivendicare la maternità dei brani — perché quando li scrivi, li immagini già con uno scheletro di produzione e poi passi la palla a chi ne sa più di te — alla fine ti senti un po’ lo scienziato pazzo della tua vita.
Il problema è che, quando queste canzoni escono, quasi non le senti più tue. Certo, ne rivendichi la maternità, ma poi è giusto che finiscano in altre mani. Ognuno raccoglie il senso che vuole, lo adatta alla propria storia. Quindi, paradossalmente, una canzone è più tua mentre la stai creando, mentre la confezioni, che dopo la pubblicazione.
E alla fine, in questo mondo del cantautorato, mi piace pensare che siamo tutti degli scommettitori seriali. Perché nessuno — nemmeno l’artista più blasonato — può sapere davvero che percorso farà una canzone. Tranne rarissimi casi, tipo Taylor Swift… ma lì parliamo di eccezioni, di mosche bianche.
Per il resto, la scommessa è il bello del gioco. E in fondo ci siamo scelti questo mestiere proprio per questo, no? Quando c’è di mezzo l’interazione con un pubblico, non puoi mai dare nulla per scontato. Non sai quanti frutti raccoglierai da una determinata cosa. Ma è proprio questo il bello, altrimenti sarebbe noioso. Noi dobbiamo reinventarci ogni giorno, ed è affascinante anche il ricordo del processo creativo, il momento in cui “preparavi la marmellata musicale”, se così si può dire.
Per me è fondamentale che anche quando voglio essere leggera, ci sia un messaggio di fondo, qualcosa di profondo. Altrimenti il nostro lavoro non serve a niente. Poi, per carità, non ho nulla contro chi scrive canzoni fini a sé stesse. Ma essere indipendenti significa lavorare il triplo degli altri e ottenere la metà dei risultati. Oggi è tutto così veloce. Sembra che ormai la viralità sia tutto, come se fosse il “mai più senza” della musica. Ma una canzone non si misura solo con i numeri immediati. Ora pare che se non fai subito milioni di streaming, la canzone non vale niente. Una volta una cosa virale durava un mese, adesso se ne parla per 24 ore, e già è tanto!
Com’è stata accolta la canzone?
Adesso che la canzone è uscita da un po’, posso iniziare a tirare le somme. Anche solo parlando con le persone direttamente, mi sono resa conto di una cosa: tanti addetti ai lavori mi hanno detto “Ah, questa è leggera!”.
Cioè, non è che se uno si appassiona alle ombre, allora deve parlare solo di ombre. Il bello è mettersi in gioco. E più una cosa è semplice, più devi farla tua. Ma farla tua davvero, non nel senso di renderla strana a tutti i costi. Anche la cosa più leggera del mondo può avere un significato profondo. La nostra routine, per esempio, è molto più profonda di quanto sembri.
Se qualcuno mi dicesse “Vuoi fare un’avventura alla Indiana Jones, tutto pagato?”, probabilmente direi di sì! Perché è facile farsi prendere dalle grandi avventure quando ti piovono addosso. Ma il punto è trovarle dentro di noi, le occasioni. Ecco perché mi piace giocare con questa idea. Mi è piaciuto vedere la gente sorpresa e dire “Ah, ma questa è leggera!”. Come se fosse strano, come se dovessi restare sempre nella mia nicchia. E invece no, ogni tanto è bello spostarsi, provare cose nuove. Mi sono tolta anche qualche sassolino, se devo essere sincera!
Perché poi c’è sempre quella cosa: “Eh, ma lei è strana”. La stranezza non l’ho mai sbandierata, l’ho semplicemente vissuta, perché ci convivo da sempre. Da bambina ero l’outsider in classe, nel mondo discografico all’inizio ero vista come un mix tra una macchietta e una specie di “purificatrice” fuori contesto. Perché? Perché voglio fare pop, ma a volte uso parole grevi?
Alla fine ho detto: Voglio fare qualcosa che nessuno mi possa portare via. Voglio scrivere una canzone come se parlassi con qualcuno di fronte a una pizza. Non posso fare la principessa Sissi e poi dentro essere tutt’altro, capito? Non sarei io. Già è difficile così, figurati se poi mi mettessi pure una maschera. Se va male, almeno vado giù con la mia vera essenza.
Poi è bello anche mettersi nei panni degli altri, ogni tanto. Tutti abbiamo pregiudizi, tutti siamo abituati a vedere una persona sempre in un certo modo. Ma ogni tanto bisogna cambiare veste e dire: Guarda, si può fare! Possiamo essere tutto quello che vogliamo!
Sì, a volte mi innamoro più dei peccatori e delle ombre. Mi piace raccontare storie complesse, ma non è che voglio parlare solo di cose difficili. Il punto è che possiamo raccontare tutto, senza etichette.
di Federico Arduini
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- Tag: musica, spettacoli
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