C’è un aspetto politico e uno morale, nel fornire armi agli ucraini. Le forniamo, non le vendiamo. I diversi lati di ciascuno non devono essere taciuti, ma affrontati. Perché questa non è una storia che finisce qui. Gli argomenti dei figli di Putin sono noti. Basati su falsi storici e ignoranza.
Su corruzione dell’anima, che non esclude quella remunerata in denaro e distrazioni. La predisposizione a rilanciare i falsi nasce dall’avversione all’Occidente, alle nostre libertà, alla nostra ricchezza. Per esercitarsi ha bisogno della nostra ricchezza e della nostra libertà. Che se le godano, tanto siamo più forti noi. Ma al di là dei figli di Putin, ci sono obiezioni politiche e morali al fornire armi.
Cominciamo dalle politiche. Consegnare armi a chi combatte significa schierarsi dalla sua parte. Vero. Ma i torti non stanno mai da una parte sola, così come le ragioni. E se oggi è facile dire il peggio del peggiore, ovvero Putin, cosa ci autorizza a credere che lui sia il male e Zelensky il bene?
Zelensky non è un santo, si osserva. Certo che non lo è. Ma posto che la storia, quella vera, racconta di tante ragioni ucraine e tante atrocità russe, c’è un motivo per cui, a questo giro, le ragioni sono tutte – dicasi tutte – dalla parte dell’Ucraina e i torti tutti – dicasi tutti – dalla parte dei russi: la rottura dell’ordine mondiale e del diritto internazionale.
Anche le guerre hanno delle regole. Non è un caso che Putin e Lavrov continuino, grottescamente, a sostenere di non avere invaso l’Ucraina e di star difendendosi da un attacco (inesistente): sanno di avere violato l’ordine e il diritto. Ragioni per le quali l’aggressione all’Ucraina è un’aggressione all’ordine e al diritto. Nessuno può considerarsi estraneo o lontano. Quindi ci schieriamo.
C’è un’altra ragione politica per cui si forniscono armi: senza la resistenza ucraina noi tutti dovremmo prendere atto non solo di quelle rotture ma anche del loro successo, essendo poi costretti a negoziare con un vincitore. Criminale, ma vincitore. Noi, invece, vogliamo negoziare con un criminale sconfitto. Meglio ancora se eliminato dai suoi, così negoziando con il Paese colpevole, ma sconfitto. E negoziare significa non solo far cessare la guerra, ma che si concluda assicurando l’ordine, il diritto e la sicurezza. Anche in caso di neutralità ucraina la necessaria garanzia della sicurezza comporterà quel che Putin voleva combattere: la presenza lì di armi altrui. La pace sarà armata, o non sarà.
Poi ci sono le questioni morali: armare significa mettere nelle condizioni di distruggere e uccidere, con un allungamento del conflitto che comporta ancora più vittime civili. Vero. L’alternativa? Cedere. Su “La Ragione” del sabato abbiamo pubblicato molte pagine dedicate a protagonisti del nostro Risorgimento. Torneremo a farlo. Quando intrapresero la loro lotta, anche armata, non avevano alcuna possibilità di vincere. Ma furono le loro scelte a creare l’Italia, una e indipendente. Non solo è morale armare e aiutare chi combatte per la libertà e l’indipendenza, ma è profondamente immorale negare l’aiuto e barattare la sua libertà con un termosifone caldo.
Le donne ucraine che si parano davanti ai carri armati, gridando in russo ai militari di tornarsene a casa e di vergognarsi, possono farlo perché i cingoli sono fermi e lo sono perché la resistenza ucraina è stata da noi armata e li distrugge uno appresso all’altro (e i contadini se li portano via). Questo è morale. Mentre lasciare quelle donne all’essere preda dei tagliagole violentatori ceceni e siriani, no: non è morale. La pace è una bellissima cosa, purché non sia quella dei cimiteri. Putin riempirà quelli ucraini e altri massacri saranno compiuti, ma al cimitero della Storia avrà un cippo eretto a imperituro disprezzo. Ecco perché armare gli ucraini è politicamente e moralmente giusto.
di Davide Giacalone
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