Istanbul, colloqui Russia-Ucraina: scambio di 1000 prigionieri
Durante i colloqui si è anche parlato di come arrivare a un accordo per il cessate il fuoco e di un possibile incontro tra il leader del Cremlino Vladimir Putin

Istanbul, colloqui Russia-Ucraina: scambio di 1000 prigionieri
Durante i colloqui si è anche parlato di come arrivare a un accordo per il cessate il fuoco e di un possibile incontro tra il leader del Cremlino Vladimir Putin
Istanbul, colloqui Russia-Ucraina: scambio di 1000 prigionieri
Durante i colloqui si è anche parlato di come arrivare a un accordo per il cessate il fuoco e di un possibile incontro tra il leader del Cremlino Vladimir Putin
ORE 16.00 – Un accordo per lo scambio di mille prigionieri, ovvero mille russi per altrettanti ucraini. Questo il primo vero risultato ottenuto durante i colloqui che si sono svolti a Istanbul tra la delegazione inviata da Mosca e quella arrivata da Kiev. Lo ha dichiarato ai giornalisti il capo della delegazione russa, l’ex ministro della Cultura e consigliere del presidente russo Vladimir Putin, Vladimir Medinski. ”Nei prossimi giorni ci sarà un grande scambio di prigionieri, mille in cambio di mille”, ha dichiarato l’inviato russo. Il capo della delegazione ucraina, il ministro della Difesa Rustem Umerov, ha confermato.
Durante i colloqui, hanno aggiunto, si è anche parlato di come arrivare a un accordo per il cessate il fuoco e di un possibile incontro tra il leader del Cremlino Vladimir Putin e il presidente ucraino Vlodymyr Zelensky. Incontro che avrebbe potuto tenersi in queste ore a Istanbul, se Putin avesse accettato l’invito di Zelensky e l’auspicio del presidente americano Donald Trump. Pronto a raggiungere i due leader in guerra se l’incontro si fosse tenuto.
ORE 14.30 – Si sono conclusi dopo quasi due ore i colloqui tra le delegazioni russa e ucraina a Istanbul. A riferirlo è l’agenzia di stampa “Ria Novosti” , che cita proprie fonti del ministero degli Esteri turco.
ORE 12.20 – Inizia il faccia a faccia tra la delegazione ucraina e quella russa.
ORE 10:10 – È iniziato il primo dei colloqui in programma oggi a Istanbul: si tratta del trilaterale Ucraina-Turchia-Usa. I padroni di casa turchi, insieme agli statunitensi, si propongono come mediatori in due tavoli, prima con gli aggrediti e poi con gli aggressori. Nelle file americane c’è stata un’altra defezione di livello: il segretario di Stato Marco Rubio, che si trova comunque nella città sul Bosforo, ha dato forfait all’ultimo minuto, seppellendo definitivamente qualunque speranza di cavare qualcosa da questi negoziati.
Preoccupata la Santa Sede che, messo da parte l’atteggiamento democristiano di totale equilibrio che ha caratterizzato il pontificato di Francesco, si schiera ora (nei fatti) dalla parte ucraina. Papa Leone XIV, dopo aver “dimenticato” di citare i russi nel suo primo Regina Coeli, ieri ha incontrato l’Arcivescovo Maggiore di Kyiv. A lui ha espresso vicinanza e negli ambienti vaticani si mormora che, dopo la trasferta a Nicea per il 1700esimo anniversario del Concilio, il successivo viaggio apostolico del nuovo Pontefice potrebbe portarlo proprio a Kyiv. Lì dove Francesco non era mai stato disposto ad andare. Stamane il segretario di Stato, Pietro Parolin, ha però commentato la situazione di Istanbul. Nelle sue parole di scafato diplomatico è riassunto un certo senso di rassegnazione: «L’esito del negoziato appare tragico, siamo tornati al punto di partenza».
ORE 7:30 – Si preannuncia come un nulla di fatto il nuovo round negoziale tra Russia e Ucraina previsto oggi a Istanbul. La storicità dell’evento (è la prima volta, dopo i falliti colloqui del 2022, che Kiev e Mosca fanno incontrare i rispettivi funzionari) da sola non basta.
La delegazione del Cremlino, guidata dal consigliere presidenziale Vladimir Medinsky, si dice fiduciosa di poter raggiungere un qualche tipo di compromesso. Ma l’interesse di Vladimir Putin sembra pari a zero, e lo dimostra il basso livello di rappresentanza dei suoi inviati (nemmeno un funzionario di vertice, nemmeno un viceministro). Dall’altra parte del tavolo, l’Ucraina ci credeva. Il presidente Volodymyr Zelensky era volato ad Ankara dall’omologo Erdogan, sfidando Putin a presenziare a un colloquio faccia a faccia. L’inquilino del Cremlino ha declinato l’invito, che lo avrebbe costretto a impegnarsi seriamente per una pace che non vuole.
Per Kyiv, a dimostrazione dell’impegno e delle aspettative, ci saranno nomi di spicco. Se Zelensky non ha (legittimamente) più interesse a presenziare, a guidare gli ucraini sarà il ministro della difesa Rustem Umerov. Non esattamente un oscuro burocrate senza poteri decisionali come il russo Mendinsky.
Quello che Putin sperava di trasformare nel suo incontro della vittoria (lui aveva caldeggiato il bilaterale, sperando di strappare l’assenso di Kyiv alle sue irrealistiche e dittatoriali pretese) si è invece trasformato in una figuraccia internazionale, dopo l’intelligente mossa di Zelensky: invitare lo zar a Istanbul significava costringerlo a uscire allo scoperto con le sue reali intenzioni culla guerra. Putin ha abboccato, e ora si trova in un imbarazzo di rara magnitudo. O almeno, questa è la versione degli ucraini.
Ce n’è un’altra, quella che fino a pochi mesi fa non avremmo nemmeno tenuto in considerazione: la longa manus statunitense. Che il presidente Trump sia più vicino a Putin che a Zelensky è cosa nota (e drammatica). Nelle ultime ore si fa strada un’ipotesi tra il cospirativo e il verosimile: che siano stati gli Usa a consigliare a Putin di abboccare e restare a Mosca, così da far saltare il banco e costringere Kyiv ad affidarsi alle (scellerate) manovre negoziali di Washington? Certo, è un’ipotesi temeraria. Eppure le parole di Trump delle ultime ore («Non sono deluso dalla composizione della delegazione russa. La pace? Non succederà nulla finché io e Putin non ci incontreremo») sembrano rendere tutto più verosimile.
Di Umberto Cascone
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