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Trionfo indiscusso del Psg in Champions! Inter umiliata 5-0

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i tifosi nerazzurri sono e saranno consapevoli che all’Allianz Arena si è vista una distanza siderale con il Psg di Luis Enrique. Cinque reti e potevano essere sei o sette. Due subiti gol nei primi 20 minuti

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Trionfo indiscusso del Psg in Champions! Inter umiliata 5-0

i tifosi nerazzurri sono e saranno consapevoli che all’Allianz Arena si è vista una distanza siderale con il Psg di Luis Enrique. Cinque reti e potevano essere sei o sette. Due subiti gol nei primi 20 minuti

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Trionfo indiscusso del Psg in Champions! Inter umiliata 5-0

i tifosi nerazzurri sono e saranno consapevoli che all’Allianz Arena si è vista una distanza siderale con il Psg di Luis Enrique. Cinque reti e potevano essere sei o sette. Due subiti gol nei primi 20 minuti

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Ci saranno recriminazioni, accuse all’Inter di poca personalità. Teorie che hanno diritto di cittadinanza, perché è dura beccare un’imbarcata tale in una finale. Il passivo più ampio mai registrato in una finale di Champions League. E poi, è la seconda finale persa nelle ultime tre edizioni di Champions. Ma lo sport sa essere feroce, verticale e come tale va accettato: c’è poco da fare quando l’avversario è più forte tecnicamente, fisicamente, tatticamente.

È anche dura da accettare, ma i tifosi nerazzurri sono e saranno consapevoli che all’Allianz Arena si è vista una distanza siderale con il Psg di Luis Enrique. Cinque reti e potevano essere sei o sette. Due subiti gol nei primi 20 minuti, ma la fotografia della partita si è avuta al calcio d’inizio: batte il Psg, palla scagliata volutamente in fallo laterale, per poi prendere subito l’Inter alla gola. Una touche, se si fosse giocato a rugby. E quindi, calcio in verticale e possesso palla, riaggressioni feroci, tempi perfetti di gioco, il talento dei singoli in un coro che non stona.

Un calcio evoluto quello di Luis Enrique. Non c’è nessuno nella scena attuale che meriti questo successo come il tecnico spagnolo e non solo per il doloroso percorso personale. Ritenuto per anni troppo integralista, il catalano propone un football meraviglioso, sintesi di teoria e pratica, dove la qualità si fonde con l’organizzazione. Gli hanno dato carta bianca, ha ricambiato con gli interessi.

Dembelè (favoritissimo per il Pallone d’Oro), Kvara (autore del quarto gol) Douè (migliore in campo), Fabian, Hakimi, Marquinhos, sino a Donnarumma. Raramente in una finale si è vista una tale esibizione di potenza e una tale differenza con l’avversario. All’Inter si può imputare, al culmine in ogni caso di una Champions straordinaria, con Bayern Monaco e Barcellona messe in fila prima della finalissima, un calo mentale dopo i primi due gol e l’idea di aver mollato dopo il terzo gol parigino: tutto vero, è stato il lasciapassare per la goleada del Psg, che vince e domina in Europa quando è finalmente squadra, seppur con singoli di spessore.

Vince non con Messi, Mbappè e Neymar, o Ibra. Vince quando il talento del singolo si mette a disposizione del collettivo. Quando ha rinunciato agli astri per un’idea, un’identità di calcio. Sembra la riedizione del calcio di ispirazione sacchiana, ma è solo quello che si è visto in campo a Monaco di Baviera. E l’Inter l’ha pagata carissima.

Di Nicola Sellitti

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