Vanno riformati i referendum
Non sarò fra quanti voteranno per i prossimi cinque referendum. Non per una questione ideologica ma perché mi trovo fuori dall’Italia. E pur non potendo votare, di fatto voterò

Vanno riformati i referendum
Non sarò fra quanti voteranno per i prossimi cinque referendum. Non per una questione ideologica ma perché mi trovo fuori dall’Italia. E pur non potendo votare, di fatto voterò
Vanno riformati i referendum
Non sarò fra quanti voteranno per i prossimi cinque referendum. Non per una questione ideologica ma perché mi trovo fuori dall’Italia. E pur non potendo votare, di fatto voterò
Non sarò fra quanti voteranno per i prossimi cinque referendum. Non è per una questione ideologica che rinuncio a mettere i miei Sì e i miei No. Semplicemente non sono in condizione di poterlo fare. Trovandomi fuori dall’Italia, non potrò recarmi alle urne come di solito faccio. Ancora non è contemplato il voto elettronico o per corrispondenza. Avrei soppesato i pro e i contro dei vari quesiti, magari scelto di astenermi per qualcuno annullando la scheda. In ogni caso, giusto o sbagliato, avrei scelto di recarmi al seggio, non sarei rimasto a casa.
Ai referendum si vota anche se non si può votare
Pur non potendo votare, di fatto voterò. Non scegliendo, sceglierò. Non posso votare. E per questo verrò considerato come chi, volendosi opporre all’abrogazione dei quesiti, mira a far saltare i referendum facendo mancare il quorum richiesto. Già è sgradevole che i referendum – quesiti specifici su cui si può essere d’accordo o contrari a prescindere se si sia conservatori, reazionari o progressisti – giorno dopo giorno assumano connotazioni politiche. Se si vota Sì si è oppositori del governo, se si vota No si diventa sostenitori del governo. Se prevalgono i Sì si è d’accordo con la parte del Partito democratico che poi farà i conti con l’altra… Non è contemplato che si possa avere un’idea su una determinata questione senza per questo voler esercitare un’opzione partitica?
Chi non vota può “scegliere”
Chi come me non voterà può scegliere. O intruppato con i sostenitori di Meloni. Oppure parte di quell’elettorato che da anni non ha più fiducia nello strumento della scheda con cui esprime il proprio voto. Peccato che non sia vero né l’uno né l’altro caso. Non è corretto che chi si astiene venga automaticamente aggregato ai fautori del No. Si possono comprendere le ragioni che hanno indotto i costituenti a prevedere un quorum così alto, la metà più uno degli elettori. L’Italia era ‘giovane’, uscita dalla dittatura e dalla guerra. Si voleva impedire che leggi importanti venissero abrogate da minoranze. Inoltre democristiani e centristi si guardavano in cagnesco con il Pci. E con una sinistra allineata alla Mosca di Stalin. Ognuno mirava a mettere quanti più paletti di garanzia possibile, temendo gli abusi degli uni contro gli altri e viceversa.
I referendum e il problema del quorum
Sono trascorsi ottant’anni. Siamo o dovremmo essere più maturi. Il quorum, almeno per come è stato inteso, non ha più ragion d’essere. Lo si abolisca o lo si riduca sensibilmente. Magari accompagnando questa ad altre modifiche. Aumentando il numero delle firme necessarie per indire un referendum, garantendo che sia fornita adeguata e neutra informazione sui quesiti (l’esempio viene dalla vicina Svizzera). Si adottino insomma tutti quegli accorgimenti e provvedimenti per rendere il cittadino consapevole che cinque minuti per deporre una scheda nell’urna non sono una perdita di tempo. Soprattutto si faccia in modo che chi non può votare Sì non si ritrovi sommato a quanti fanno dell’astensione un’arma impropria per battere gli avversari.
Si sia ‘evangelici’: il vostro sia un Sì o un No. Chi non vota non conta, punto e basta.
di Valter Vecellio
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- Tag: Italia
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