Teatrino fuori tempo massimo
Nel giorno in cui si intravede uno spiraglio di ipotesi di trattativa tra Russia e Ucraina e l’Italia viene indicata fra i possibili garanti della neutralità Ucraina, l’appena confermato leader dei grillini Giuseppe Conte si diverte a correre sul filo della crisi di governo.
Teatrino fuori tempo massimo
Nel giorno in cui si intravede uno spiraglio di ipotesi di trattativa tra Russia e Ucraina e l’Italia viene indicata fra i possibili garanti della neutralità Ucraina, l’appena confermato leader dei grillini Giuseppe Conte si diverte a correre sul filo della crisi di governo.
Teatrino fuori tempo massimo
Nel giorno in cui si intravede uno spiraglio di ipotesi di trattativa tra Russia e Ucraina e l’Italia viene indicata fra i possibili garanti della neutralità Ucraina, l’appena confermato leader dei grillini Giuseppe Conte si diverte a correre sul filo della crisi di governo.
Nel giorno in cui si intravede uno spiraglio di ipotesi di trattativa tra Russia e Ucraina e l’Italia viene indicata fra i possibili garanti della neutralità Ucraina, l’appena confermato leader dei grillini Giuseppe Conte si diverte a correre sul filo della crisi di governo.
Sconcertante. Nel giorno in cui per la prima volta si intravede uno spiraglio di ipotesi di trattativa tra Russia e Ucraina, in Italia ci ritroviamo con il solito teatrino dell’assurdo. Dal Bosforo arrivano segnali – ancora flebili e contraddittori – su cui provare a costruire un dialogo e una via d’uscita a questa tragedia assurda, ma a Roma il Movimento Cinque Stelle ci fa regredire alle peggiori pantomime della partitocrazia italiana.
A Istanbul, il nostro Paese viene indicato fra i possibili garanti della futura, ipotetica neutralità Ucraina, sancendo un ruolo e una responsabilità. Nella nostra capitale, l’appena confermato leader dei grillini Giuseppe Conte si diverte a correre sul filo della crisi di governo, andando a sbattere per l’ennesima volta su Mario Draghi, in uno spettacolo che se non fosse vagamente tragico farebbe anche sorridere.
Conte si era recato nei suoi vecchi uffici di Palazzo Chigi, per tenere il punto sulla questione delle spese militari e per far pesare il ruolo di partito di maggioranza relativa, manco il Movimento fosse quello dei trionfi populisti che lo portarono a guidare il governo giallo-verde e non la convulsa realtà di oggi. Drammaticamente ridotta di quasi due terzi nei numeri e attraversata da faide della peggiore tradizione democristiana.
Si resta attoniti davanti a questa incapacità di comprendere la gravitas del momento, il proprio ruolo e le proprie responsabilità. Il continuo riecheggiare delle antiche sirene del ‘vaffa’ e delle mitologiche ‘origini’ del Movimento, a cui dobbiamo una parte dell’imbarbarimento della vita politica italiana e i drammatici sbandamenti sulla via delle democrature, che oggi non certo a caso Conte si affanna a smentire, facendo la parte di quello che non c’era o se c’era dormiva. Provando a far dimenticare (ma noi non lo dimentichiamo) la Via della seta, le gite a Parigi a sostenere i gilet gialli, l’attrazione esercitata proprio dal dittatore di Mosca Vladimir Putin.
Sono bastate poche parole secche e rabbiose di Draghi e la sua visita in serata al Presidente della Repubblica, per far correre Conte a smentire in tutte le sedi e i modi possibili qualsiasi idea di crisi di governo. Ne prendiamo atto strabuzzando gli occhi, anche se non dovremmo meravigliarci dove possa arrivare la pochezza della politica italiana.
Quest’antica tentazione dei partiti ‘di lotta e di governo’, intenti a logorare le stesse maggioranze di cui fanno parte per piccoli e tristi tatticismi elettorali. Fare tutto questo, però, nel pieno di una guerra e quando il Paese è chiamato a un ruolo di responsabilità internazionale resta legittimo, ma del tutto incompatibile con la pretesa di governare. Al più, ci si dedichi ai like.
Di Fulvio Giuliani
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