Le elezioni del capo del governo ungherese vedranno Viktor Orbán, dopo 12 anni in carica, confrontarsi con il rivale Peter Marki-Zay, sindaco di una cittadina. Che sia arrivato il momento di un cambiamento?
Tutti contro uno, tutti contro Orban. La polarizzazione della politica ungherese raggiunge il suo culmine con il voto che domani vedrà il capo del governo ininterrottamente in carica da 12 anni e padre padrone del suo partito Fidez di fronte al sindaco di una cittadina di provincia, Peter Marki-Zay, sostenuto da sei partiti: sinistra, verdi, centro e destra, diversi ma uniti per porre fine a una lunga era.
Il leader del sovranismo in Unione europea, con un passato liberale, deve per la prima volta confrontarsi con un candidato capace di mettere insieme quel che finora si era presentato in ordine sparso. Un outsider che rende la partita incerta. Per lunghi mesi i sondaggi avevano accreditato Marki-Zay, di suo un cattolico conservatore, in vantaggio.
Ma da qualche settimana il vento è cambiato e Orban, che resta un politico di grande caratura e abilissimo nella gestione del potere, ha recuperato terreno. Da un lato è partita la massiccia campagna di comunicazione di Fidez, dall’altra il governo ha varato una serie di misure sociali (aumento delle pensioni, tetto ai prezzi dei generi alimentari di prima necessità, blocco degli aumenti di energia e carburanti) che si traducono in soldi reali che restano nelle tasche dei cittadini. Una parte importante della campagna elettorale si è giocata attorno alle stazioni di rifornimento, dove un litro di diesel costa ancora 1,30 euro per la gioia degli automobilisti.
La guerra scoppiata al confine ha portato nel confronto elettorale le simpatie putiniane di Orban, da cui ora egli stesso prende le distanze. Ma certe ambiguità hanno raffreddato i rapporti con i Paesi vicini, quelli del cartello Visegrad. Varsavia e Budapest non sono mai state tanto distanti: pesano i legami di Orban con Putin, gli affari non sempre puliti con Mosca e, da ultimo, il rifiuto ungherese di sanzionare le importazioni dell’energia russa. Le frizioni hanno portato all’annullamento del vertice dei quattro Paesi in programma a Budapest, proprio alla vigilia del voto.
Un grande peso sarà giocato dall’economia, nonostante i dati siano meno brillanti che in passato.
Se regge la rete sociale stesa da Orban a protezione del ceto medio, inflazione e crisi internazionale generate da pandemia e guerra pesano anche sulle performance ungheresi. In tempi di magra viene alla luce il peso del sistema economico di potere creato da Fidez, una vera e propria rete di corruzione clientelare che ha spinto l’Ungheria agli ultimi posti europei nella speciale classifica redatta da Transparency International: il 50% dei finanziamenti Ue serve ad alimentare appalti pubblici cui partecipano sempre le stesse ditte. L’accusa è di favoritismo.
Gli osservatori concordano: il destino del voto è nelle mani del ceto medio urbano, proprio quella fascia sociale che più di tutte ha beneficiato della lunga era orbaniana e che ora potrebbe decidere che corruzione, anti-europeismo, ambiguità verso autocrati alla Putin e dubbiosi accordi economici con la Cina siano un prezzo troppo alto da pagare per un’Ungheria che solo trent’anni fa era considerata il Paese modello fra quelli fuoriusciti dalla lunga notte del comunismo.
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