Negli ultimi giorni la strategia energetica del governo Draghi per affrancare l’Italia dalla dipendenza dal gas russo sta tenendo banco nel dibattito politico.
Un fantasma si aggira nel dibattito politico e anche in non poche redazioni di giornali, televisioni e radio: la strategia energetica del governo Draghi, per affrancare l’Italia dalla dipendenza dal gas russo. Quel 43% sul totale, che vale una consistente fetta dell’approvvigionamento quotidiano di valuta pregiata che garantiamo al dittatore di Mosca come europei.
Roma ha firmato un accordo diretto con il governo algerino, per un forte aumento delle forniture dal Paese nordafricano e ha fatto siglare dall’Eni un’importante intesa con l’Egitto, per le forniture dal Paese retto dal generale al-Sisi. Accordo non siglato direttamente dal governo per il contenzioso che abbiamo con il Cairo, a causa della tragica vicenda di Giulio Regeni, ucciso per mano egiziana in una vicenda tutt’altro che chiarita fino in fondo (anche nel ruolo di servizi stranieri, e per stranieri non intendiamo britannici in particolare).
Torneremo sull’Egitto, ma nel frattempo ricordiamo che mercoledì e giovedì Mario Draghi sarà in Africa, per ulteriori intese con l’Angola e il Congo. Una volta siglati questi accordi, l’Italia avrà di fatto programmato la sostituzione nell’arco di sei mesi dei due terzi delle forniture russe. In due settimane.
Un risultato eccezionale e del tutto inusuale per i tempi tradizionalmente “messicani” della nostra politica. Eppure questo insieme di mosse, consentite dalla volontà politica di Draghi ma anche dalla geografia – il Mediterraneo in questo caso diventa un asset – e dalla straordinaria rete di relazioni costruita dall’Eni nei decenni, resta un fantasma nella comunicazione e fa appena capolino nei commenti della politica. Solo per rimarcare i dubbi – ‘forti’, nella declinazione del segretario del Pd Letta – nel fare affari con l’Egitto. Per i sopracitati motivi, è ovvio.
Tralasciando che di affari con Il Cairo ne facciamo già un bel po’ e che è proprio l’Eni a gestire le ricerche in quello che viene considerato il più importante giacimento di gas naturale del Mediterraneo orientale – che si trova sotto controllo egiziano – scapperebbe da ridere, se non ci fosse da piangere per certa ipocrisia.
L’Italia si muove e lo fa con maggiore visione e rapidità rispetto alla stessa Germania, per ridurre la propria dipendenza da un Paese che dovremmo ricordare a Letta e ai suoi solerti follower non ci risulta essere una specchiata democrazia volteriana dedicata al trionfo del bene dell’umanità. Parliamo della Russia, che ha aggredito l’Ucraina e che anche prima della guerra poteva essere tante cose ma di sicuro non un campione del rispetto dei diritti umani, della democrazia e della libera stampa.
Delle due, l’una: o ci accontentiamo di una politica degli annunci, insincera e fallimentare per la nostra macchina produttiva o ci acconciamo con realismo a trattare con chi c’è. I Paesi esportatori di gas naturale a cui possiamo agganciarci con delle pipeline (calmierandone il costo) sono quelli che sono e si chiamano Algeria, Libia, Egitto, Azerbaigian. Oltre che Russia. Il gas liquido lo possiamo comprare, appunto, da Paesi come Angola e Congo, oltre che dagli Stati Uniti che innervosiscono all’istante certa politica e certa stampa di casa nostra.
Un’alternativa c’è, ma è ridicola: fare chiacchiere e continuare a foraggiare Putin, magari raccontando un po’ di balle sulla possibilità di coprire il fabbisogno energetico del Paese entro sei mesi con solare ed eolico. Nucleare giammai, che fa brutto anche solo pensarlo.
Di Marco Sallustro
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