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Chi insegue la bellezza, chi i clienti: i medici estetici ai tempi del web

La morte di Samantha Migliore che si è fatta iniettare del silicone in casa apre una riflessione sul ruolo dei medici estetici e di come alcuni di questi raccontino la bellezza sui social in modo troppo “spinto”.
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Chi insegue la bellezza, chi i clienti: i medici estetici ai tempi del web

La morte di Samantha Migliore che si è fatta iniettare del silicone in casa apre una riflessione sul ruolo dei medici estetici e di come alcuni di questi raccontino la bellezza sui social in modo troppo “spinto”.
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Chi insegue la bellezza, chi i clienti: i medici estetici ai tempi del web

La morte di Samantha Migliore che si è fatta iniettare del silicone in casa apre una riflessione sul ruolo dei medici estetici e di come alcuni di questi raccontino la bellezza sui social in modo troppo “spinto”.
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La morte di Samantha Migliore che si è fatta iniettare del silicone in casa apre una riflessione sul ruolo dei medici estetici e di come alcuni di questi raccontino la bellezza sui social in modo troppo “spinto”.
Come si fa? Se lo sono chiesto praticamente tutti dopo la morte di Samantha Migliore, 35 anni, madre di cinque figli, già scampata a un tentato omicidio due anni fa quando l’ex le sparò in testa. La fortuna è cieca ma guai a sfidarla. Lei lo ha fatto quando si è lasciata iniettare del silicone liquido da un transessuale contattato sul web, Pamela Andress, nome che ricorda quello dell’attrice Pamela Anderson, sex symbol anni Novanta che con le sue curve esplosive contribuì alla diffusione della chirurgia plastica. Prima di allora i ritocchi estetici erano confinati nel mondo delle pornostar e delle signore benestanti che mal accettavano il trascorrere del tempo. Poi negli anni Duemila trasmissioni di successo come “Dr. 90210” (Cap di Beverly Hills), prezzi calmierati praticati da società di scontistica come Groupon e non ultimo tecniche sempre meno invasive permisero alla chirurgia estetica di attecchire su larga scala. Come si fa, dicevamo, nel 2022 a essere tanto ingenui, disinformati e irresponsabili? Si fa. Perché Samantha non è la prima né sarà l’ultima a morire inseguendo un’ideale di bellezza attraverso modalità tanto assurde. Se qualcuno arriva a credere che la propria stanza sia pari a una sala operatoria, forse una parte di colpa è anche di certi medici che raccontano la chirurgia sui social con troppa leggerezza, facendola passare per quello che non è, ovvero una passeggiata. Le gallery di questi professionisti somigliano più a certe vetrine di Amsterdam, dove seni e culi gonfiati sfidano la gravità tra improbabili prima e dopo, solo per accaparrarsi un cliente in più. Insomma, qualcosa di molto lontano dalla divulgazione scientifica, tanto che alcune foto sembrano persino ritoccate senza che nessuno dica nulla. Dov’è l’Ordine dei medici in tutto questo? Ormai anche i chirurghi più bravi sentono di dover essere sui social – quando invece non ne avrebbero bisogno – “perché fa parte del gioco”. Il primo passo è quello di assoldare un social media manager che metta l’hashtag giusto sotto le foto. Così, grazie a Instagram, si scopre che le #Pavialips sono le labbra che vanno per la maggiore (non si sa bene come abbiano ereditato il nome da quella cittadina che per due secoli fu capitale del Regno Longobardo). Il secondo passo è ingaggiare una promoter, ossia una ragazza che in cambio di trattamenti gratuiti o soldi si occupi di intercettare potenziali clienti nei gruppi dedicati alla chirurgia. Quest’ultima spesso si finge una cliente soddisfatta (e magari lo è davvero) ed elargisce consigli che sfociano in consulti, non avendo però i titoli per farlo. Lo ribadiamo: i trattamenti devono essere effettuati solo da personale medico. Eppure qualcuno ci casca sempre; vuoi per risparmiare, vuoi perché i profili social di chi opera in questo settore gli hanno raccontato verità distorte sulla chirurgia e sulla medicina estetica. Oggi, con l’autopsia, si saprà con esattezza cosa ha ucciso la povera Samantha, ma le responsabilità di quanto accaduto non sono solo sue né del suo aguzzino. di Ilaria Cuzzolin

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