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referendum nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk

Vladimir Putin in un vicolo cieco senza via d’uscita

Si inizia a parlare in Russia di referendum nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk: mai riconosciute dalla comunità internazionale. Si stipulano contratti in euro e dollari e si pretendono in rubli. Putin è in un vicolo cieco senza via d’uscita.

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Vladimir Putin in un vicolo cieco senza via d’uscita

Si inizia a parlare in Russia di referendum nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk: mai riconosciute dalla comunità internazionale. Si stipulano contratti in euro e dollari e si pretendono in rubli. Putin è in un vicolo cieco senza via d’uscita.

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Vladimir Putin in un vicolo cieco senza via d’uscita

Si inizia a parlare in Russia di referendum nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk: mai riconosciute dalla comunità internazionale. Si stipulano contratti in euro e dollari e si pretendono in rubli. Putin è in un vicolo cieco senza via d’uscita.

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Si inizia a parlare in Russia di referendum nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk: mai riconosciute dalla comunità internazionale. Si stipulano contratti in euro e dollari e si pretendono in rubli. Putin è in un vicolo cieco senza via d’uscita.

Ribaltamento della realtà e trucchi senza vergogna. È la dottrina russa, applicata al disastro della guerra in Ucraina. Un vicolo cieco dal quale Vladimir Putin non sa come venir fuori e per il quale ha messo al lavoro i migliori cervelli a disposizione cercando narrative, mistificazioni e veri e propri abracadabra per costruirsi una via duscita. Partiamo dal destino dei territori attualmente in mano allarmata del Cremlino, un patchwork senza continuità e uniformità, occupato ma non controllato. Terreno di battaglia sino a ieri, campo di guerriglia e resistenza oggi. Centri e città in cui la propaganda putiniana aveva azzardato lorganizzazione di grandi parate per lautoproclamato giorno della vittoria” del 9 maggio, precipitosamente annullate per evitare il concreto rischio dell’imbarazzo di un attacco ucraino, fra una fanfara e un gagliardetto. Il Donbass non è conquistato, il corridoio con la Crimea resta un obiettivo dichiarato e non raggiunto, gli ucraini continuano a combattere e a diversificare la resistenza a seconda del campo di battaglia e delle circostanze. In una situazione del genere, Putin deve gettare fumo negli occhi e portarsi avanti per non ammettere di essersi impantanato, mentre Kiev viene progressivamente riarmata dall’Occidente e dagli Stati Uniti in particolare. Così si comincia a parlare di referendum nelle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk e nelle aree che larmata dovesse riuscire a controllare. Più o meno. Prendiamoci un momento, stiamo parlando di consultazioni elettorali in territori martellati da mesi di bombardamenti e combattimenti casa per casa, dai quali i civili che hanno potuto sono fuggiti verso Ovest (molti di loro sono oggi qui, in Italia), sottoposti a unoccupazione militare di stampo novecentesco. Di che razza di referendum staremmo mai parlando? In realtà, lo sappiamo bene: quello organizzato da Putin in Crimea nel 2014 per certificare lannessione del territorio ucraino alla Federazione Russa dopo linvasione affidata agli omini verdi”, i mercenari che condussero la facile operazione militare. Quel referendum non è stato mai riconosciuto a livello internazionale – come la conseguente annessione della Crimea – ma è esattamente il modello a cui si rifà oggi il Cremlino, anticipando il destino delle aree che i russi hanno deciso di strappare all’Ucraina in spregio a qualsiasi principio di diritto internazionale, civiltà e buon senso. Queste sono le elezioni secondo Putin, queste sono le urne russe.

Anche i contratti alla russa non sono niente male. Stipulati in euro e dollari e oggi pretesi in rubli, grazie al colpo di teatro che dovrebbe garantire a Putin le essenziali linee di pagamento del suo gas e il finanziamento della guerra. I famosi doppi conti”, in euro e rubli, che dovrebbero permettere alle società occidentali clienti di Gazprom di pagare regolarmente in euro o dollari, poi convertirli in rubli in territorio russo nei conti ‘gemelli’ aperti ad hoc nella stessa Gazprom. Trucco contabilmente complesso ma concettualmente semplice, che consentirebbe allo zar di gridare alla vittoria sugli europei, costretti non solo a continuare a sovvenzionarlo ma anche nei modi e nella valuta da lui ordinati.

Un oggettivo trionfo propagandistico che semplicemente lUe non può concedere. Lo ha ribadito giovedì la Commissione europea che ha bollato come «aggiramento delle sanzioni imposte alla Russia» laderire a questo gioco delle tre carte. Bel problema, perché lUngheria ha fatto ufficialmente sapere che pagherà il gas come vuole Putin e, secondo il “Financial Times”, diverse aziende petrolifere (fra cui l’Eni) avrebbero già aperto i cosiddetti conti K” in Gazprom, approfittando del fatto che quest’ultima non è stata inserita nell’elenco delle banche sotto embargo, così come lo stesso gas russo è al momento escluso dalle sanzioni.

Solo che non è più tempo di trucchi e magie, di escamotage e furbizia. Ci avviciniamo al redde rationem anche sul gas e sarebbe bene presentarsi al momento della verità con la schiena dritta.

  di Fulvio Giuliani

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