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Eurovision un modo di vedere l’Europa

L’Ucraina vola verso la finale dell’Eurovision Song Contest 2022. È stata una standing ovation quella che ha accolto la performance della Kalush Orchestra nella serata della prima semifinale a Torino. E se Eurovision fosse un modo di vedere l’Europa?
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Eurovision un modo di vedere l’Europa

L’Ucraina vola verso la finale dell’Eurovision Song Contest 2022. È stata una standing ovation quella che ha accolto la performance della Kalush Orchestra nella serata della prima semifinale a Torino. E se Eurovision fosse un modo di vedere l’Europa?
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Eurovision un modo di vedere l’Europa

L’Ucraina vola verso la finale dell’Eurovision Song Contest 2022. È stata una standing ovation quella che ha accolto la performance della Kalush Orchestra nella serata della prima semifinale a Torino. E se Eurovision fosse un modo di vedere l’Europa?
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L’Ucraina vola verso la finale dell’Eurovision Song Contest 2022. È stata una standing ovation quella che ha accolto la performance della Kalush Orchestra nella serata della prima semifinale a Torino. E se Eurovision fosse un modo di vedere l’Europa?
Cantando si dice che passi, ma può capitare che venga (qualche buona idea). Il gruppo musicale ucraino è stato accolto con una ovazione quando è comparso sul palco torinese. Il minimo dovuto. Dopo di che la gara continua e quale ugola vincerà è faccenda solo canora. L’idea di quel Festival venne dalla riproposizione multinazionale di Sanremo, l’ambito era quello dell’“Unione europea di radiodiffusione” nata nel 1950. La prima edizione si tenne a Lugano nel 1956. Da allora ha cambiato nome ed è molto cresciuto, con adesioni successive (l’Ucraina, per dire, è entrata nel 2003). I soli Stati europei a non avere mai partecipato sono la Città del Vaticano e il Liechtenstein. L’invito è sempre valido. E se Eurovision fosse un modo di vedere l’Europa? Noi abbiamo bisogno di un’Unione europea più integrata, più forte, più simile agli Stati Uniti, quindi con una maggiore devoluzione di competenze. È una questione di convenienza: la campagna di vaccinazione ha funzionato benissimo proprio devolvendo a livello europeo quel che fino a quel momento non era di competenza europea, ovvero approvvigionamenti e distribuzione. Poi, ovviamente, le vaccinazioni si fanno in sede locale. Ora ci è chiarissimo che abbiamo bisogno di qualcosa di simile in campo energetico e non poteva essere spiegato in modo più chiaro che è urgente nel settore della difesa. Solo che, a quel punto – per la verità già passato – non si può governare e far vivere una simile organizzazione con le regole del passato e dell’unanimità. Epperò, al tempo stesso, noi già viviamo in una Unione di 27 membri, di cui 19 hanno una medesima moneta e 8 no. Una doppia Europa esiste di già. Per la verità anche una tripla, perché rimane in vita il Consiglio d’Europa, fondato nel 1949 e sede dell’importante Corte europea dei diritti dell’uomo. Tanto esiste che spesso, con superficialità, si crede che la Cedu sia parte dell’Ue, mentre al Consiglio d’Europa aderiscono 46 Stati (la Russia è appena uscita, proprio per evitare la Corte). Se volete metteteci anche l’Eurovision, ma siamo comunque tenuti a metterci i capitoli di “cooperazione rafforzata”, ovvero gruppi di Paesi, all’interno dell’Ue, che decidono di integrarsi maggiormente su questo o quel tema (poca roba). Tutto questo esiste di già, sicché è parso curioso che taluno abbia accolto con stupore le parole del presidente di turno dell’Ue, Emmanuel Macron, secondo cui si può avere un’Europa a diverse velocità. Tanto più che quel concetto è familiare a chi conosce la storia e segue le vicende europee, giacché Altiero Spinelli parlava di Europa «a geometria variabile» già nel secolo scorso. Un ultimo elemento: per taluni (sicuramente per me) è stato doloroso il risultato referendario inglese del 2016, noto come Brexit, ma è ancor più doloroso constatare che avevamo ragione a prevedere che non avrebbe portato male all’Ue, bensì a Uk. Difatti questo ha messo in moto meccanismi disgregativi interni, non ha limitato (anzi) gli immigrati e sono ancora di là da venire gli accordi commerciali e doganali, altrimenti gravosi per gli inglesi. E noi europei dell’Ue (perché europei restano anche gli inglesi) difenderemo i nostri interessi, ma non ne abbiamo alcuno a peggiorare i problemi albionici. E allora: possiamo ben costruire un accordo di modifica dei Trattati, creando un nucleo forte di Paesi che accettano che il Parlamento europeo abbia iniziativa legislativa e che le decisioni del Consiglio, ovvero dell’organo che riunisce capi di Stato o di governo di ciascun Paese, siano prese a maggioranza. Ferma restando l’unanimità per le riforme “costituzionali”. Moneta, difesa, politica estera comuni. Oltre al resto. Accanto a questo può esserci una comunità delle democrazie cui può prendere parte chi lo desideri – Uk compreso – salvo verificarsi che sia uno Stato di diritto (tema sensibile anche dentro l’Ue, come si è visto). Nel primo gruppo i vincoli sarebbero più forti. Nel secondo limitati alla tutela delle libertà e dei diritti. Perché quel comune sentire esiste a prescindere dalle regole di mercato, come l’ovazione Eurovision agli ucraini sta a dimostrare. Dopo di che: vinca il migliore. Di Davide Giacalone

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