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José Mourinho

José Mourinho, l’artista della mentalità vincente

I mediocri vi racconteranno che la Conference League vinta dalla Roma di José Mourinho non conta nulla. Chi ama lo sport, saprà cogliere il valore di unintera città  trascinata in unaltra consapevolezza di sé.
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José Mourinho, l’artista della mentalità vincente

I mediocri vi racconteranno che la Conference League vinta dalla Roma di José Mourinho non conta nulla. Chi ama lo sport, saprà cogliere il valore di unintera città  trascinata in unaltra consapevolezza di sé.
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José Mourinho, l’artista della mentalità vincente

I mediocri vi racconteranno che la Conference League vinta dalla Roma di José Mourinho non conta nulla. Chi ama lo sport, saprà cogliere il valore di unintera città  trascinata in unaltra consapevolezza di sé.
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I mediocri vi racconteranno che la Conference League vinta dalla Roma di José Mourinho non conta nulla. Chi ama lo sport, saprà cogliere il valore di unintera città  trascinata in unaltra consapevolezza di sé.

Leggere i commenti delle ultime quarantott’ore alla vittoria della Roma di José Mourinho nella finale di Conference League, dice molto della mentalità italiana davanti al successo. Altrui. Lettura istruttiva, perché la mentalità è la chiave di tutto. Non stiamo parlando, nello specifico, di calcio o almeno non solo. Del resto, è proprio Mourinho a ricordarci come chi capisca solo di pallone in realtà non capisca nulla di calcio. Mentalità, fra le altre cose, significa non giudicare sé stessi, il proprio lavoro e i propri obiettivi esclusivamente in base a parametri imposti dall’esterno, dal giudizio che gli altri danno delle nostre attività, dei nostri successi e fallimenti.

José Mourinho, guarda caso l’ultimo ad aver portato una Coppa in Italia nell’indimenticabile avventura interista, ha fatto ciò che dovrebbe fare qualsiasi bravo manager nel gestire il proprio business: ha studiato la situazione (sapendo perfettamente di non avere a disposizione una grande squadra e un gigantesco talento tecnico e psicologico), studiato le contromosse (puntare su un nocciolo duro di uomini a cui affidare le proprie sorti, responsabilizzandoli e chiedendo loro di accettare la sfida di crescere) e fissato un obiettivo (la Conference League). A quel punto, lultima nata fra le Coppe europee non è stata più la cenerentola delle manifestazioni continentali, la parvenu degli appuntamenti pallonari, ma il mezzo per trasformare ragazzi e atleti normali’ in un collettivo degno di essere ricordato.

Mentalità, appunto. Da saper comunicare all’interno e all’esterno giorno dopo giorno, come parte fondamentale del proprio lavoro. A un occhio distratto o carico di pregiudizi, Mourinho può apparire solo un borioso istrione, un furbo promoter del suo brand. In realtà, il tecnico portoghese è uno dei pochissimi a saper allenare anche lambiente, spronandolo a essere non solo spettatore e giudice dei propri beniamini ma una risorsa della squadra. La chiave per portare i singoli e il gruppo oltre i propri limiti.

I mediocri vi racconteranno che la Conference League non conta nulla, che è un fake messo lì dai vertici della Uefa per raccattare un po’ di quattrini e far felici le federazioni minori dEuropa. Chi invece sa respirare lo sport, vivere le grandi emozioni collettive, raccontandole con rispetto e ammirazione, saprà cogliere il valore di unintera città – nella sua componente giallorossa, s’intende – trascinata in unaltra consapevolezza di sé. Basterebbe riascoltare le parole del giovane capitano Lorenzo Pellegrini, pochi minuti dopo il trionfo contro il Feyenoord: «Ora festeggiamo e di festa ne facciamo un bel po’, ma da domani ci mettiamo a lavorare per i prossimi obiettivi. Perché questo è un punto di partenza». Il più bel regalo che i condottieri di uomini possono fare alle realtà in cui si trovano ad agire. Perché sanno come si fa.

di Diego de la Vega

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