Lo stato di salute del Referendum
L’ultima volta che il quorum è stato superato era il 2011, domenica vedremo quanti elettori credono ancora nel Referendum.
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Lo stato di salute del Referendum
L’ultima volta che il quorum è stato superato era il 2011, domenica vedremo quanti elettori credono ancora nel Referendum.
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Lo stato di salute del Referendum
L’ultima volta che il quorum è stato superato era il 2011, domenica vedremo quanti elettori credono ancora nel Referendum.
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L’ultima volta che il quorum è stato superato era il 2011, domenica vedremo quanti elettori credono ancora nel Referendum.
Quanti elettori andranno a votare per i referendum? Credo che questo sia il vero risultato che dovremo commentare a urne chiuse. Domenica sarà la diciottesima volta che voteremo per un referendum abrogativo. Dal 12 maggio 1974, giorno dello storico voto sul divorzio, siamo stati chiamati a votare su 67 quesiti: dall’aborto al nucleare, dai fitofarmaci alla caccia, dalle nomine nelle banche alla trivellazione in mare.
Sappiamo bene che la Costituzione pone un limite di “serietà” ai referendum, nel senso che se non vota almeno il 50% + 1 degli elettori la consultazione non è valida. Noi giuristi lo chiamiamo quorum di validità. All’epoca dei padri costituenti votava normalmente il 90% degli aventi diritto, per cui non si poteva certo pensare che l’astensionismo sarebbe diventato un vantaggio per chi preferisce il No all’abrogazione. Negli anni a noi più vicini, infatti, è stato facile accorgersi che per i contrari all’abrogazione era più facile consigliare di non andare a votare, perché così i contrari si avvantaggiavano di quell’almeno 30% che generalmente non vota. Dal memorabile «Andate al mare» di Bettino Craxi.
Sul punto sarebbe necessaria una modifica costituzionale, ma intanto le regole sono queste e, incredibilmente, dal 1995 il quorum è stato superato soltanto nel 2011 (con i referendum su acqua e nucleare). Tutte le altre volte ha vinto l’astensionismo, essendo andati a votare il 30% nel 1997, il 49% nel 1999, il 32% nel 2000, il 25% nel 2003 e nel 2005, il 23% nel 2009 e il 31% nel 2016.
Così a oggi, nel complesso, sui 67 quesiti referendari votati ben 28 sono stati dichiarati non validi (mentre 16 volte ha vinto il No e 23 volte il Sì all’abrogazione). Ebbene sì, pur essendo il referendum abrogativo la principale forma di democrazia diretta, il risultato più frequente è stato il non voto.
Questa forma di disaffezione per i referendum si spiega anche con il fatto che troppe volte siamo stati chiamati a votare su temi “minori”. Non che la composizione dei consigli giudiziari o la custodia cautelare non siano questioni importanti, ma – a ben vedere – non sono punti che incidono immediatamente sulla vita dei cittadini. Che quindi non sanno come votare o non vanno a votare.
Eccoci al punto. Domenica sarà un voto anche sullo stato di salute del referendum, perché a mio avviso se si supererà il 30% significa che ancora una fetta consistente degli elettori crede in questo istituto; se invece si andrà sotto il 20% credo che sarà un segnale chiaro del bisogno di ripensare a fondo i modi della democrazia diretta.
Di Alfonso Celotto
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