Conte-Draghi e quei teatrini politici che è il Paese a pagare
I nove punti presentati ieri da Conte e dal M5S al governo Draghi sono la rappresentazione di un disagio politico arrivato ormai al punto di rottura. E questi teatrini non sono a costo zero.
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Conte-Draghi e quei teatrini politici che è il Paese a pagare
I nove punti presentati ieri da Conte e dal M5S al governo Draghi sono la rappresentazione di un disagio politico arrivato ormai al punto di rottura. E questi teatrini non sono a costo zero.
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Conte-Draghi e quei teatrini politici che è il Paese a pagare
I nove punti presentati ieri da Conte e dal M5S al governo Draghi sono la rappresentazione di un disagio politico arrivato ormai al punto di rottura. E questi teatrini non sono a costo zero.
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I nove punti presentati ieri da Conte e dal M5S al governo Draghi sono la rappresentazione di un disagio politico arrivato ormai al punto di rottura. E questi teatrini non sono a costo zero.
Come sarebbe andata a finire lo sapevano tutti e l’abbiamo scritto ieri, con ragionevole certezza di non essere smentiti dai fatti: in una bolla di nulla.
Ancora una volta, ci si è accontentati di agitare le bandierine dalla curva della politica. I nove punti presentati dal leader del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte al presidente del Consiglio Mario Draghi – gli stralci richiesti e rimangiati, la promessa di restare al governo ma forse no, si vedrà – non sono altro che la sintesi di un disagio politico arrivato ormai al punto di rottura.
Il problema è che il Movimento rompere non può, perché ridotto a una pallida ombra di ciò che fu, un partito ormai dominato dalla nostalgia canaglia. Dei gloriosi tempi andati, delle parole d’ordine facili-facili capaci di incendiare le masse e far promettere qualsiasi cosa, senza doversi preoccupare della controprova.
Così Conte non rompe, ma non esclude di poterlo fare nella più classica riedizione del “Al lupo, al lupo!” e ‘costringe’ Draghi a ricorrere alla fiducia sul decreto Aiuti. Segna un’effimera vittoria politica di giornata. Anzi di pomeriggio, perché già al calare delle prime ombre della sera di quella vittoria di Pirro praticamente non è rimasto più nulla. Come in un gioco dell’oca impazzito, Conte è tornato alla casella del “Via!”, solo più stanco e sfibrato di prima.
Puntare i piedi su Reddito di cittadinanza, superbonus al 110%, cashback fiscale e transizione ecologica (manco fosse una bandiera di partito, con quello che sta accadendo nel mondo) taciterà per qualche ora ciò che resta della base e delle pattuglie di eletti. In particolar modo quelli in bilico, pronti ad abbandonare la barca dell’ex capo del governo per accasarsi con il grande transfuga, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Una volta andava di moda stigmatizzare i vizi di certa politica parlando di “teatrini”; dopo una giornata come quella di ieri vien voglia di rispolverare i vecchi luoghi comuni che aiutarono Berlusconi a segnalarsi come il nuovo.
La grande amarezza è legata non solo al tempo perso e alle risorse mantenute in bilico, ma soprattutto all’illusione che tutto questo sia a costo zero. Che una giornata così inutile si esaurisca sul palcoscenico dei penultimatum di Conte e dell’insofferenza sempre più marcata del presidente del Consiglio e degli altri partiti della maggioranza. Peccato che non si esaurisca proprio niente in tutto questo: è il Paese a pagare giorno dopo giorno la crescente instabilità presente e futura, perdendo credibilità e forza sul piano internazionale.
Da mesi continuiamo a ripetere la domanda retorica su quanto e fino a quando il carisma personale di Mario Draghi potrà supplire a una politica priva di visione e strategia. La risposta è nel tempo che passa: sempre meno.
La fotografia del capo del governo al telefono su quella panchetta del museo del Prado a Madrid, impegnato a inseguire i fantasmi delle forze vincitrici del 2018, non la vediamo e commentiamo solo in Italia. In ogni vertice, incontro internazionale e bilaterale il grande punto interrogativo dietro le spalle di Draghi si fa più grande e opprimente. Quello stesso senso di apprensione che coglie chiunque sia stufo di vivere alla giornata e voglia provare a gettare lo sguardo oltre l’estate, pensando all’autunno delle grandi decisioni da prendere e all’anno delle elezioni politiche in arrivo.
Chi da tempo non sopporta più Draghi e il commissariamento dei partiti non perde occasione per stigmatizzare l’aura di infallibilità che gli immancabili tifosi acritici hanno contribuito a creare intorno al presidente del Consiglio. Una palese esagerazione che è solo lo specchio della paura del nulla che ci può attendere.
di Fulvio Giuliani
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